Pericolose idiozie terzomondiste

Questo articolo apparira sul numero 1 anno 95 di Umanità Nova

Sulle reazioni di movimento alla strage di Parigi

Se avete problemi con la libertà di espressione siete pregati di rivolgervi a Spider Jerusalem

Se avete problemi con la libertà di espressione siete pregati di rivolgervi a Spider Jerusalem

Pericolose idiozie terzomondiste

Lasciano l’amaro in bocca le reazioni di una parte consistente del movimento, italiano e non, ai fatti parigini. Ma le posizioni assunte dall’area post-autonoma e anche da parte del movimento anarchico, sopratutto americano ma anche parte di quello europeo, sono la logica conseguenza di un’errata impostazione di base e di tatticismi di terzo rango, che rivelano il completo vuoto strategico e programmatico di certi soggetti politici. Dalla lettura degli articoli apparsi su Quartier Libres, tradotti e rilanciati in italiano da Infoaut e da Contropiano e dall’osservazione di svariati articoli apparsi su portali anarchici presenti sui social media emerge una totale incapacità di lettura della realtà. I giochi di parole in politichese dei post autonomi rivelano che i soggetti politici coagulati intorno ad Infoaut e Contropiano soffrono di sudditanza intellettuale verso un terzomondismo fuori tempo massimo e completamente dimentico delle profonde modifiche della geopolitica internazionale dalla fine del bipolarismo USA-URSS e dell’unipolarismo statunitense. E rivelano anche una totale dimenticanza, o forse una volontà di nascondere, della storia della lotta sociale e di classe in Europa negli ultimi trecento anni.

Senza troppi giri di parole Infoaut afferma, con un’ardito esercizio di relativismo culturale, che la libertà di parola sarebbe una caratteristica della civiltà occidentale. Ora: al di là del fatto che la netta distinzione occidente-oriente è già stata messa in crisi da decenni di post-colonial studies e che forse certi personaggi farebbero meglio a rileggersi testi fondamentali come Orientalismo di E. Said, la libertà di parola non è un a priori della “cultura occidentale”. È una conquista sociale che si è

Un fiero rappresentante dei valori della “cultura occidentale”: Roman Ungern von Sternberg. Mica Diderot.

affermata tramite le due grandi rivoluzioni di fine settecento, quella americana e quella francese, tramite i moti del 1848, tramite le successive battaglie del movimento dei lavoratori e tramite l’azione di pezzi della borghesia liberale. È una libertà che è stata conquista con il sangue e che è stata difesa con il sangue dall’azione di quelle frazioni più retrive della borghesia che hanno tentata di cancellarla durante il periodo controrivoluzionaro seguente alla prima guerra mondiale e dei moti rivoluzionari della fine degli anni dieci.

È una delle conquiste più importanti della lotta sociale ed è un bastione da difendere a qualsiasi costo perchè, banalmente, è quello che permette il mantenimento di spazi di manovra politici ai movimenti rivoluzionari e a tutte le voci critiche.

Mettere in discussione questa gigantesca conquista dandola come valore assodato dell’occidente significa semplicemente tirarsi la zappa sui piedi e dimenticare il sacrificio di decine di migliaia di compagni.

Leggere nell’articolo “Guerra sporca (di ritorno)”, apparso su Infoaut il 7 gennaio, un passaggio come “Per come l’intendiamo noi, il cuore della satira è di dar fastidio a chi comanda. Esprimersi ironicamente in una vignetta non esenta da un giudizio di valore sul messaggio veicolato. Puntare il dito contro gruppi minoritari e discriminati a causa di precise responsabilità storiche non equivale a mettere alla berlina il potere religioso e culturale egemonico nel proprio paese” da il senso si come chi ha scritto questo pezzo abbia completamente perso la bussola dell’analisi, se non il senno.

Intanto chiariamo una cosa, che dovrebbe essere scontata: la satira serve a dar fastidio a tutti. Ed è quello che faceva la satira di Charlie Hebdo. Se non ne siete convinti andate a vedervi qualche video di Carlin o leggetevi il Male.

Secondariamente: in Francia, come in tutta Europa, il discrimine non è tra essere musulmani o essere cristiani. È tra essere proprietari dei mezzi di produzione o tra essere degli sfruttati. È tra l’avere accesso a determinate garanzie sociali ed esservi esclusi. Se pensate che essere musulmani sia di per se’ un discrimine andate a farvi un giro nelle boutique degli Champs Elisee o nella city di Londra e fate il conto di quanti musulmanissimi rappresentati delle petromonarchie del golfo vanno e vengono senza che nessuno si sogni di discriminarli.

E magari non farebbe male andarsi a rivedere il ruolo da pompieri assunto dalle moschee in tutti le rivolte delle periferie francesi (o inglesi). Magari studiatevi il ruolo avuto dall’associazionismo di stampo religioso nel cooptare fette di popolazione immigrata nei giochi politici. Tipo tutto l’associazionismo musulmano legato al PD in Italia, tanto per non andare lontano.

Forse gli estensori di tali perle gauchistes si sono dimenticati di un dato che davamo per assodato già con la Prima Internazionale: la religione, le religioni, sono uno strumento di controllo del proletariato. Se ne volete ulteriore conferma chiedete ai lavoratori di Port Said o di Alessandria, repressi sia dal militarismo egiziano che dalla Fratellanza Musulmana. O chiedetelo ai Cabili, ai Kurdi di Kobane in lotta contro l’IS o ai lavoratori dei campi petroliferi irakeni e iraniani. O, per uscire dal mondo mediorientale, andate a farvi un giro in posti come l’Ohio, massacrato dalla deindustrializzazione e con la maggior presenza di milizie suprematiste cristiane.

Nelle banlieus francesi sono presenti delle fette di potere in mano in modo specifico a componenti religiose, più o meno moderato. Sono quelle componenti che fanno opera di mediazione tra i bisogni che emergono dal proletariato e dal sottoproletariato e lo stato francese, ivi comprese le forme di accesso al welfare. Stiamo parlando insomma di una frazione dominata di classe dominante, ma forse questo concetto è un po’ difficile da capire per chi opera una divisione manichea del mondo tra il grande satana atlantista e il resto. Siamo di fronte, insomma, ad una declinazione della logica delirante dello “scontro di civiltà”.

E ora veniamo a quei settori di movimento anarchico in preda alla sindrome del “politically correct anarchist lifestyle”. È una sindrome molto grave, compagni, ma siamo certi che con un paio di approfondite immersioni nella realtà avrete delle ottime speranze di guarigione.

Intanto bisogna capire una cosa: l’antirazzismo è una questione di classe, ovvero di rapporti sociali, non di rappresentazione mediatica. Accusare un giornale come Charlie Hebdo e compagni come Cabu, Tignous e Wolinsky di razzismo è indicativo del livello di delirio e di confusione portato dalle concezioni lifestyle nel movimento anarchico. Per dirla in maniera brutale: l’antirazzismo da salotto e da borghesi bianchi pentiti non ci interessa. La Capanna dello Zio Tom è stata scritta 150 anni fa e ha fatto il suo tempo.

Chi accusa la satira antireligiosa, e vorrei qua ricordare che la lotta antireligiosa è stata ed è una delle più importanti lotte portate avanti dal movimento anarchico e dai suoi compagni di strada del Libero Pensiero, di essere funzionale a un disegno neocoloniale non capisce nulla né di religione né di neocolonialismo né di questioni sociali in genere. Chi porta avanti una posizione simile è il vero portare di una visione neocoloniale che pretende di mettere gli “orientali” (sempre ammesso che questo termine abbia senso, cosa di cui dubitiamo) sotto la propria tutela. Il messaggio che viene lanciato è “poveri negretti ignoranti e minorati, ci siamo noi a difendervi, dall’alto del nostro essere moralmente buoni”. E questo significa dimenticare che sarà il proletariato ad emancipare sé stesso e non delle avanguardie morali o politiche. Significa ignorare completamente la storia delle insorgenze sociali dell’Irak post prima guerra del golfo, represse dalla frazione dominata di classe dominante filo iraniana e dal nazionalismo kurdo del partito di Barzani, lo stesso che pochi anni dopo permetterà all’esercito turco di sconfinare nel Kurdistan Irakeno per reprimere il PKK.

Queste prese di posizione “anarchiche” vengono giustificate con un malinteso intersezionismo delle lotte. Ma l’intersezione delle lotte significa riconoscere il dominio ovunque esso si applica: e le religioni del libro nella loro storicizzazione, tolti casi molto particolari, sono costituzionalmente portatrici di una visione autoritaria e dominatrice. L’islam è la religione che viene usata nel mondo mediorientale per fornire una giustificazione teologica al dominio patriarcale, religioso, di classe ed etnico.

Pensare di applicare l’intersezionismo fino alla palizzata del proprio cortile e non a tutte le lotte ovunque esse si svolgano è semplicemente folle.

E forse si dovrebbe ragionare sul fatto che il coordinamento delle comunità autonome del Kurdistan ha dichiarato pubblicamente e in modo chiaro, netto e deciso, che i morti di Parigi sono come coloro che muoiono combattendo contro le milizie islamiste dell’IS nella difesa del Rojava.

Chi ha esteso queste posizioni, quelle degli stantii leninisti italiani o degli anarchici talmente anarchici da potersi permettere di sputare sui cadaveri ancora caldi dei vignettisti di Charlie Hebdo, è un pericolo per la tenuta e l’ampliamento delle lotte sociali.

Occorre fare chiarezza immediata e affermare con forza, con le parole e con i fatti, che queste posizioni non possono e non devono avere legittimità nel nostro campo.

lorcon

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Dal basso e non solo

il seguente articolo è apparso sul numero 37 anno 94 di Umanità Nova

Sulle autoproduzioni e i loro limiti

Dal basso e non solo

Il movimento anarchico negli ultimi venti anni ha particolarmente preso a cuore la questione delle autoproduzioni e della creazione di “economie dal basso” ma è oramai evidente che questo approccio ha vistosi limiti. Innanzi tutto ci sarebbe da definire che cosa va a intendersi con il termine “dal basso”: a parere di chi scrive il “basso” è il livello base delle attività umane organizzate, quello che garantisce il sostentamento. E il sostentamento delle società umane è dato dalle infrastrutture, le utilità di scala. Ora, in un mondo di 7 miliardi di persone è evidente che il sostentamento pieno non può essere dato dai tradizionali modi di produzione: sia i modelli capitalistici (uso il plurale per indicarli nel loro essere variegati: dall’ultraliberismo al capitalismo pianificato di stato) che i modelli pre-capitalisti sono fondamentalmente modelli basati su un’economia della scarsità. In quanto tali per limiti strutturali non possono garantire una distribuzione delle risorse che sia allo stesso tempo dignitosa ed equa. Nella retorica delle autoproduzioni si sente spesso riecheggiare, magari sullo sfondo, il richiamo di triste stampo pasoliniano alla cara vecchia civiltà contadina, quella delle coltivazioni estensive, dei raccolti fatti a mano e del grano separato dalla pula nell’aia, in convivialità. Una retorica bucolica ma falsa: si rimuove sempre il fatto che in quella bucolica e pura epoca si crepava di pellagra, che la prole era concepita come pura forza lavoro (qualcuno si ricorda l’etimologia del termine proletariato?).
Come anarchici è nostro compito immergerci nelle contraddizioni della società e costruire, a partire da ciò che abbiamo a disposizione qui e ora, un mondo diverso. Noi viviamo in un tempo e in un spazio pervaso dalle dinamiche di dominio del capitale, dove la forza lavoro umana è vista come mezzo per l’estrazione di plusvalore e l’ambiente come materia da mettere a valore; ma non è per questo utile rifugiarsi in artificiosi miti dell’età dell’oro, che sia quello delle società contadine o che sia quello di presunte società gilaniche. Anzi: abdicare a una spietata analisi del nostro mondo per rifugiarsi nei miti è controproducente. L’idea di diffondere le autoproduzioni alimentari su piccola scala per contrastare il dominio del capitale in ambito agrario è semplicemente inapplicabile. Intanto la creazione di un mercato parallelo presenta una serie di problemi: in primo luogo questo non è incompatibile con la forma di produzione capitalistica, riproducendone in scala minore e in forme mitigate i meccanismi e non inficiando assolutamente la stessa; ma se questo punto è “facilmente” superabile in un ottica gradualista il secondo punto che voglio portare all’attenzione si scontra con le basi materiali del mondo: non esiste abbastanza terra coltivabile in quanto le coltivazioni estensive, per definizione, sono meno produttive in base al rapporto terreno coltivato/raccolto. Per fornire sostentamento alla popolazione mondiale serve per forza di cose una coltivazione intensiva e serve una razionalizzazione della stessa. A tal proposito è ora di farla finita con l’idea che la tecnicizzazione del lavoro sia di per se’ negativa: la tecnica è un elemento che mira all’indefinito incremento della potenza umana, il che vuol dire che tecnica e capitale non sono necessariamente in simbiosi, e l’una non è necessariamente lo strumento dell’altro. E questo al di là del fatto che la tecnicizzazione e la meccanizzazione del lavoro sono servite, storicamente, ad un disciplinamento della forza lavoro: all’interno di un contesto capitalista l’asservimento della forza lavoro, ovvero la possibilità di estrarre un maggiore plusvalore a parità di di tempo di lavoro, è lo sbocco di certe innovazioni tecnologiche. Ma è altrettanto vero che in un contesto di collettivizzazione delle risorse e dei mezzi di produzione la meccanizzazione e la tecnicizzazione sono mezzi necessari per la liberazione dal lavoro. E tutto questo senza inficiare le possibilità creative, insite, ad esempio nelle attività artigiane, ivi comprese certe attività agricole: la liberazione del tempo non potrebbe che rafforzarle. Basti, comunque, pensare che per impedire una distribuzione delle metodiche e dei ritrovati della tecnica sono stati inventati i brevetti e tutto un corpus normativo per bloccare il processo di incremento quantitativo e qualitativo della tecnica.

A meno che non crediamo che la popolazione mondiale da qua a qualche decennio andrà diminuendo fortemente, e non c’è niente che sostenga questa credenza, che altro non sarebbe che mero atto di fede, è evidente che, nell’ottica anarchica di costruire un mondo diverso non si potrà prescindere dai mezzi tecnico-scientifici che si sono sviluppati all’interno del capitalismo. E questi sono mezzi che dobbiamo strappare dal dominio, che dobbiamo usare per liberare gli esseri viventi e non per asservirli. I mezzi tecnici creatisi nel contesto capitalistico creano una serie di contraddizioni che contengono il germe del superamento del capitalismo stesso. Viviamo in un economia strutturalmente e artificiosamente della scarsità, nostro obbiettivo deve essere ripensare al rapporto interno alle società umane e al rapporto tra queste e l’ambiente in cui viviamo, quindi ad una razionalizzazione delle attività umane che eliminino, o per lo meno limitino fortemente, gli sprechi e le devastazioni ambientali.

Deve prendere corpo la visione di una produzione a basso impatto, intensiva e compatibile con ambiente e territorio; se l’obiettivo è quello di sfamare, l’intensività deve avere i connotati della genuinità non della quantità. Oggi il paradigma è produrre il massimo per sopperire il prezzo sempre troppo basso, in una visione alternativa deve essere produrre quanto consentito dal territorio compatibilmente con le esigenze umane, il che vuol dire ciclo stagionale e conservazione del prodotto.

Inoltre, in un ottica sociale, l’autoghettizzazione, perchè, non nascondiamocelo, i GAS e i consimili spesso questo sono, è un male da evitare come la peste: è insensato proporre prodotti a prezzi più alti di quella della grande distribuzione in un momento in cui i salari subiscono compressione e aumentano i disoccupati e i lavoratori atipici. Serve solo a creare le proprie isolette più o meno felici, a isolarsi ulteriormente dal corpo sociale. Serve, sembra quasi, a soddisfare un proprio intimo bisogno di purezza, di diversità.

Rifugiarsi nel comodo mito delle società precapitaliste è sciocco e inutile. Non dobbiamo pensare a quello che c’era prima del capitalismo, dobbiamo costruire quello che verrà dopo di esso, quello che vogliamo adesso, quello che noi vogliamo che venga dopo di esso e delle macerie da esso create. La liberazione del genere umano, e non solo di esso, dalle proprie catene non ha senso, e non sarebbe una reale liberazione, se vogliamo ripiombare nel simpatico mondo dell’aspettativa di vita di 45 anni di fatica e asservimento al caso. Bisogna pensare a come ri-utilizzare le infrastrutture della logistica, come ripensare le città, perchè è evidente che un mondo di 7 miliardi di persone le città sono l’unica opzione valida in quanto limitano un consumo di suolo che sarebbe altrimenti elevatissimo, come ri-organizzare gli spazi agricoli e di produzione, liberandoci realmente dalla schiavitù del lavoro, salariato o auto-salariato che sia, e dei bisogni. Oltre a pensare a un auspicabile, e talvolta necessario, orticello.

Lorcon

(con contributi di vari compagn*)

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Complottismi o fascismi?

Ripubblico qua un articolo da me pubblicato quasi due anni fa (dè, come passa il tempo) su Umanità Nova. Siccome al momento stiamo restrutturando pesantemente il sito di Uenne probabilmente non sarà più accessibile sulla fonte originale quindi lo metto qua prima che si disperda nei miei archivi.

Qualche mese fa avevo pubblicato un post sul fenomeno del complottismo e delle sue vistose cadute nel sessismo e nell’omofobia. La settimana scorsa ho ripreso questo argomento e ho scritto un altro testo che analizza più in generale il fenomeno dei complottismi.

Il seguente articolo è comparso originariamente su Umanità Nova numero 26 anno 92 (22 luglio 2012)

Il grande tessitore del complotto pluto-giudaico-massonico

Complottismi o fascismi?

Le teorie del complotto sono una costante degli ultimi secoli ma negli ultimi anni, complice la diffusione di internet, c’è stato un vero e proprio fiorire di complottismi sui più svariati argomenti.

Si va dall’11 settembre, ad HAARP, al signoraggio, ai rettiliani, agli Iluminati fino alle deliranti speculazioni che negli ultimi mesi pretendono di collegare, in base a sconclusionate teorie numerologiche, il naufragio della nave da crociera Concordia agli accordi internazionali siglati dal governo Monti.

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Note a margine di un omicidio

Michele Serra, la Repubblica e la mentalità coloniale

Note a margine di un omicidio

 

[…]ed è quasi superfluo rilevare che gli idoli di legno trionfano
e le vittime umane cadono![…]
K. Marx – Dibattiti sulla legge contro i furti di legna
 
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Così scriveva il barbuto di Treviri circa 160 anni fa in merito alle nuove leggi sui furti di legno in Renania. Oggi potremmo, forse, aggiornare gli idoli di legno con gli idoli di carta: i codici legislativi italiani, i libri di Saviano, gli articoli de la Repubblica, il senso comune.

L’articolo quotidiano, l’Amaca, di Michele Serra, opinionista di punta de la Repubblica, pubblicata sul quotidiano debenedettiano 11 settembre e subito assunta a verbo fattosi carne da molti minus habens nostrani rappresenta lo stato dell’arte della moderna arte del giustizialismo di sinistra. Giustizialismo sulla pelle degli altri, ovviamente.

Secondo Serra difatti la colpa della morte di Davide Bifolco è da ascriversi completamente a Bifolco stesso e il carabiniere è una vittima. È colpa del clima di illegalità, del machismo, della mentalità da ultras. Nessuna colpa va ascritta ad un carabiniere che nel migliore dei casi è completamente incapace di manovrare in sicurezza l’arma di ordinanza, e dire che la Beretta 92 FS è dotata di meccanismi di sicurezza che hanno definito gli standard in mezzo mondo, e che nel peggiore ha ammazzato a sangue freddo un ragazzo disarmato che si rialzava da terra.

No, il carabiniere è anche lui una vittima, perchè, poverino sarà rimasto traumatizzato dall’aver ammazzato un ragazzino. La colpa di è Bifolco che ha osato andare in tre su uno scooter senza casco e senza assicurazione senza fermarsi ad un posto di blocco. Che a quanto pare è un reato punibile con la morte, con giudice e boia incarnati dalla stessa persona. E chissenefrega se andare in scooter senza casco o in tre è una semplice violazione amministrativa. E chissenefrega se stavano facendo una ragazzata o se uno in scooter ci va senza assicurazione perchè non ha i soldi per la stessa. E chissenefrega, sopratutto, se un ragazzino è morto ammazzato. Completamente cancellato dal dibattito. L’importante è la legalità.

Quello che evidenzia tra le righe Serra è che costoro, questi abitanti dei quartieri popolari, sono in verità dei sub-umani che sono da educare o da reprimere ferocemente. Una mentalità degna di un ufficiale italiano in Libia nel ’13 (e abbiamo pochi dubbi in merito al fatto che il vile Serra riuscirebbe a prodursi in una giustificazione del colonialismo italiano se gliene si desse possibilità).

Come osano, poi, costoro, questi incivili trogloditi, protestare per la morto di uno di loro? Come osano farsi vedere? Ritornino al loro ghetto e crepino lì. Oppure si dimostrino contriti e pentiti ed si facciano rieducare da Saviano.

Nessuna parola, en passant, sul fatto che le indagini sul fatto siano state affidate ai carabinieri stessi. Con gran sprezzo della logica.

La geniale “Amaca” di Serra è il trauma davanti al ritorno del rimosso. Perchè una buona fetta dell’opinione pubblica “progressista” ha rimosso un fatto sociale fondamentale: esistono i poveri, gli sfruttati; e così ha rimosso anche il fatto che i poveri e gli sfruttati sono carichi di contraddizioni.

Quello di Serra e dei suoi epigoni è puro odio di classe alla rovescia. È mentalità coloniale applicata alle fasce più povere della popolazione, perchè i ragazzi del rione Traiano oltre ad essere poveri hanno il difetto di essere napoletani. Incapace di rilevare le contraddizioni, o, forse, rendendosi conto che è dall’altro lato della barricata, dall’alto della sua comoda e ricca poltrona, pontifica. E cambia argomento, parla dei morti ammazzati dalla camorra, parla della mentalità da stadio, parla dell’illegalità. Stronzate. Stronzate buone a creare una cortina fumogena intorno a un fatto semplice: un ragazzo è morto, morto ammazzato da un carabiniere. I voli pindarici sulla legalità stanno a zero davanti a questo fatto. Sono buoni solo per giustificare il prossimo morto. Perchè questo sta facendo Serra, questo stanno facendo i lor signori opinionisti con i loro discorsi belli, tondi e ragionevoli: preparano il terreno per il prossimo omicidio. Anche quelli che non se ne rendono conto. E poco han da rispondere, a chi fa notare quanti siano stati i morti ammazzati dalle forze dell’ordine, citando i pochi casi finiti con processi e condanne per poliziotti e carabinieri. Tra quelli più famosi c’è ne è solo uno: Aldrovandi. E tutti sappiamo che i poliziotti assassini, riconosciuti come tali da tre gradi di giudizio, sono ancora in polizia. Per non parlare di quello che è successo ai condannati per le torture alla Diaz e a Bolzaneto: promossi e in carriera, nonostante tutto. Anzi, forse grazie a tutto. Mentre per Cucchi, Uva, Rasman, Giuliani, Brianzino? Per le decine di persone ammazzate per non aver rispettato l’alt a un posto di blocco? Per i torturati nelle carceri e nei CIE? Per tutti coloro massacrati di botte di cui non si è mai saputo nulla?

Per costoro niente. Cancellati. D’altra parte Cucchi era un tossico, Brianzino produceva marjuana, Rasman era pazzo, Uva era alcoolizzato, Giuliani un teppista, Bifolco un terrone povero, chi viene massacrato in un CIE è un negro e chi viene ammazzato o si ammazza in carcere la prossima volta ci pensava prima di delinquere.

E ovviamente gettiamo alle ortiche tutto il pensiero critico, tutta la sociologia, tutta la storiografia. Facciamo finta che no, le forze dell’ordine non servano per mantenere uno status quo favorevole ad una classe sociale. Facciamo finta che i corpi militari non siano per struttura stessa un incubatore di autoritarismo e violenza. Piuttosto blateriamo di tiny blue line e parliamo dei mafiosi cattivi anche quando non centrano niente. Parliamo degli ultras; costruiamo il nemico pubblico, apriamo la strada al diritto penale del nemico. Tanto, Serra, te ne puoi stare tranquillamente assiso in cattedra a dare lezioni, a scrivere libri di cui non si sentiva la mancanza per spiegare ai giovani che cosa devono fare per smettere di essere apatici.

Eccotela servita la tua legalità, Serra: morte, devastazione, torture. Eccoteli i tuoi poveri carabinieri, i tuoi poveri poliziotti, i tuoi amati secondini, da te trasformati in vittime delle persone che ammazzano con un capovolgimento della logica degno di un sofista da dialogo platonico. Ci mancava solo l’ennesima citazione a cazzo di Pasolini e potevi fare il capolavoro del secolo, Serra!

Non ci pigliare per il culo, appollaiato sulla spalla dei potenti, pronto a gettarti come avvoltoio su un cadavere fresco: noi lo sappiamo che dietro la tua maschera ipocrita, dietro ai tuoi discorsi così pieni di buon senso, c’è tutta la violenza del mondo.

lorcon

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Solidarity with freedom fighters of Rojava

rojavasolidarity

Grafica creata dal sottoscritto a partire da una foto di una guerrigliera del Rojava. Ovviamente l’immagine è liberamente utilizzabile e modificabile.

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Ben scavato, vecchia talpa!

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immagine del ’77, utillazata da Assemblea Generale, periodico libertario reggiano neglli anni ’70-80, scansionata e colorata dal sottoscritto.

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Millenium People

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Millenium Bridge, London, 2009

 

(si, è una citazione del libro)

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Canoisti

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London Docks, 2009

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È una questione di stile

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Brixton, 2009

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bee

P7130083

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