Pericolose idiozie terzomondiste

Questo articolo apparira sul numero 1 anno 95 di Umanità Nova

Sulle reazioni di movimento alla strage di Parigi

Se avete problemi con la libertà di espressione siete pregati di rivolgervi a Spider Jerusalem

Se avete problemi con la libertà di espressione siete pregati di rivolgervi a Spider Jerusalem

Pericolose idiozie terzomondiste

Lasciano l’amaro in bocca le reazioni di una parte consistente del movimento, italiano e non, ai fatti parigini. Ma le posizioni assunte dall’area post-autonoma e anche da parte del movimento anarchico, sopratutto americano ma anche parte di quello europeo, sono la logica conseguenza di un’errata impostazione di base e di tatticismi di terzo rango, che rivelano il completo vuoto strategico e programmatico di certi soggetti politici. Dalla lettura degli articoli apparsi su Quartier Libres, tradotti e rilanciati in italiano da Infoaut e da Contropiano e dall’osservazione di svariati articoli apparsi su portali anarchici presenti sui social media emerge una totale incapacità di lettura della realtà. I giochi di parole in politichese dei post autonomi rivelano che i soggetti politici coagulati intorno ad Infoaut e Contropiano soffrono di sudditanza intellettuale verso un terzomondismo fuori tempo massimo e completamente dimentico delle profonde modifiche della geopolitica internazionale dalla fine del bipolarismo USA-URSS e dell’unipolarismo statunitense. E rivelano anche una totale dimenticanza, o forse una volontà di nascondere, della storia della lotta sociale e di classe in Europa negli ultimi trecento anni.

Senza troppi giri di parole Infoaut afferma, con un’ardito esercizio di relativismo culturale, che la libertà di parola sarebbe una caratteristica della civiltà occidentale. Ora: al di là del fatto che la netta distinzione occidente-oriente è già stata messa in crisi da decenni di post-colonial studies e che forse certi personaggi farebbero meglio a rileggersi testi fondamentali come Orientalismo di E. Said, la libertà di parola non è un a priori della “cultura occidentale”. È una conquista sociale che si è

Un fiero rappresentante dei valori della “cultura occidentale”: Roman Ungern von Sternberg. Mica Diderot.

affermata tramite le due grandi rivoluzioni di fine settecento, quella americana e quella francese, tramite i moti del 1848, tramite le successive battaglie del movimento dei lavoratori e tramite l’azione di pezzi della borghesia liberale. È una libertà che è stata conquista con il sangue e che è stata difesa con il sangue dall’azione di quelle frazioni più retrive della borghesia che hanno tentata di cancellarla durante il periodo controrivoluzionaro seguente alla prima guerra mondiale e dei moti rivoluzionari della fine degli anni dieci.

È una delle conquiste più importanti della lotta sociale ed è un bastione da difendere a qualsiasi costo perchè, banalmente, è quello che permette il mantenimento di spazi di manovra politici ai movimenti rivoluzionari e a tutte le voci critiche.

Mettere in discussione questa gigantesca conquista dandola come valore assodato dell’occidente significa semplicemente tirarsi la zappa sui piedi e dimenticare il sacrificio di decine di migliaia di compagni.

Leggere nell’articolo “Guerra sporca (di ritorno)”, apparso su Infoaut il 7 gennaio, un passaggio come “Per come l’intendiamo noi, il cuore della satira è di dar fastidio a chi comanda. Esprimersi ironicamente in una vignetta non esenta da un giudizio di valore sul messaggio veicolato. Puntare il dito contro gruppi minoritari e discriminati a causa di precise responsabilità storiche non equivale a mettere alla berlina il potere religioso e culturale egemonico nel proprio paese” da il senso si come chi ha scritto questo pezzo abbia completamente perso la bussola dell’analisi, se non il senno.

Intanto chiariamo una cosa, che dovrebbe essere scontata: la satira serve a dar fastidio a tutti. Ed è quello che faceva la satira di Charlie Hebdo. Se non ne siete convinti andate a vedervi qualche video di Carlin o leggetevi il Male.

Secondariamente: in Francia, come in tutta Europa, il discrimine non è tra essere musulmani o essere cristiani. È tra essere proprietari dei mezzi di produzione o tra essere degli sfruttati. È tra l’avere accesso a determinate garanzie sociali ed esservi esclusi. Se pensate che essere musulmani sia di per se’ un discrimine andate a farvi un giro nelle boutique degli Champs Elisee o nella city di Londra e fate il conto di quanti musulmanissimi rappresentati delle petromonarchie del golfo vanno e vengono senza che nessuno si sogni di discriminarli.

E magari non farebbe male andarsi a rivedere il ruolo da pompieri assunto dalle moschee in tutti le rivolte delle periferie francesi (o inglesi). Magari studiatevi il ruolo avuto dall’associazionismo di stampo religioso nel cooptare fette di popolazione immigrata nei giochi politici. Tipo tutto l’associazionismo musulmano legato al PD in Italia, tanto per non andare lontano.

Forse gli estensori di tali perle gauchistes si sono dimenticati di un dato che davamo per assodato già con la Prima Internazionale: la religione, le religioni, sono uno strumento di controllo del proletariato. Se ne volete ulteriore conferma chiedete ai lavoratori di Port Said o di Alessandria, repressi sia dal militarismo egiziano che dalla Fratellanza Musulmana. O chiedetelo ai Cabili, ai Kurdi di Kobane in lotta contro l’IS o ai lavoratori dei campi petroliferi irakeni e iraniani. O, per uscire dal mondo mediorientale, andate a farvi un giro in posti come l’Ohio, massacrato dalla deindustrializzazione e con la maggior presenza di milizie suprematiste cristiane.

Nelle banlieus francesi sono presenti delle fette di potere in mano in modo specifico a componenti religiose, più o meno moderato. Sono quelle componenti che fanno opera di mediazione tra i bisogni che emergono dal proletariato e dal sottoproletariato e lo stato francese, ivi comprese le forme di accesso al welfare. Stiamo parlando insomma di una frazione dominata di classe dominante, ma forse questo concetto è un po’ difficile da capire per chi opera una divisione manichea del mondo tra il grande satana atlantista e il resto. Siamo di fronte, insomma, ad una declinazione della logica delirante dello “scontro di civiltà”.

E ora veniamo a quei settori di movimento anarchico in preda alla sindrome del “politically correct anarchist lifestyle”. È una sindrome molto grave, compagni, ma siamo certi che con un paio di approfondite immersioni nella realtà avrete delle ottime speranze di guarigione.

Intanto bisogna capire una cosa: l’antirazzismo è una questione di classe, ovvero di rapporti sociali, non di rappresentazione mediatica. Accusare un giornale come Charlie Hebdo e compagni come Cabu, Tignous e Wolinsky di razzismo è indicativo del livello di delirio e di confusione portato dalle concezioni lifestyle nel movimento anarchico. Per dirla in maniera brutale: l’antirazzismo da salotto e da borghesi bianchi pentiti non ci interessa. La Capanna dello Zio Tom è stata scritta 150 anni fa e ha fatto il suo tempo.

Chi accusa la satira antireligiosa, e vorrei qua ricordare che la lotta antireligiosa è stata ed è una delle più importanti lotte portate avanti dal movimento anarchico e dai suoi compagni di strada del Libero Pensiero, di essere funzionale a un disegno neocoloniale non capisce nulla né di religione né di neocolonialismo né di questioni sociali in genere. Chi porta avanti una posizione simile è il vero portare di una visione neocoloniale che pretende di mettere gli “orientali” (sempre ammesso che questo termine abbia senso, cosa di cui dubitiamo) sotto la propria tutela. Il messaggio che viene lanciato è “poveri negretti ignoranti e minorati, ci siamo noi a difendervi, dall’alto del nostro essere moralmente buoni”. E questo significa dimenticare che sarà il proletariato ad emancipare sé stesso e non delle avanguardie morali o politiche. Significa ignorare completamente la storia delle insorgenze sociali dell’Irak post prima guerra del golfo, represse dalla frazione dominata di classe dominante filo iraniana e dal nazionalismo kurdo del partito di Barzani, lo stesso che pochi anni dopo permetterà all’esercito turco di sconfinare nel Kurdistan Irakeno per reprimere il PKK.

Queste prese di posizione “anarchiche” vengono giustificate con un malinteso intersezionismo delle lotte. Ma l’intersezione delle lotte significa riconoscere il dominio ovunque esso si applica: e le religioni del libro nella loro storicizzazione, tolti casi molto particolari, sono costituzionalmente portatrici di una visione autoritaria e dominatrice. L’islam è la religione che viene usata nel mondo mediorientale per fornire una giustificazione teologica al dominio patriarcale, religioso, di classe ed etnico.

Pensare di applicare l’intersezionismo fino alla palizzata del proprio cortile e non a tutte le lotte ovunque esse si svolgano è semplicemente folle.

E forse si dovrebbe ragionare sul fatto che il coordinamento delle comunità autonome del Kurdistan ha dichiarato pubblicamente e in modo chiaro, netto e deciso, che i morti di Parigi sono come coloro che muoiono combattendo contro le milizie islamiste dell’IS nella difesa del Rojava.

Chi ha esteso queste posizioni, quelle degli stantii leninisti italiani o degli anarchici talmente anarchici da potersi permettere di sputare sui cadaveri ancora caldi dei vignettisti di Charlie Hebdo, è un pericolo per la tenuta e l’ampliamento delle lotte sociali.

Occorre fare chiarezza immediata e affermare con forza, con le parole e con i fatti, che queste posizioni non possono e non devono avere legittimità nel nostro campo.

lorcon

Informazioni su lorcon

Mediattivista, laureato in storia contemporanea con attitudine geek, nasce nel sabaudo capoluogo (cosa che rivendica spesso e volentieri) e vive tra Torino e la bassa emiliana. Spesso si diletta con la macchina fotografica, lavora come tecnico IT, scrive sul suo blog e su Umanità Nova.
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