Armi, società e potere – Militarizzazione sociale

Il seguente articolo è apparso sul numero 8 anno 98 di Umanità Nova

Le sparatorie nelle scuole americane, così come i morti per omicidio, sono in calo costante da trenta anni eppure diventano oggetto di dibattito e di campagne politiche.

A fronte del massacro avvenuto a Parkland, Florida, si è nuovamente scatenato il dibattito sul perché e sul percome avvengano questi fatti. Sono state avanzate proposte di legge, a livello federale e statale, che vorrebbero imporre la presenza di guardie, poliziotti, guardia nazionale o privati, dentro gli istituti, che vorrebbero imporre la blindature degli edifici, che vorrebbero impedire l’accesso alle armi a chi è sotto i ventuno anni – a meno che non si arruoli, chiaramente – o che pongono il focus sulla questione della salute mentale. Andiamo per ordine.

Negli stati uniti esiste un fiorente mercato della sicurezza privata che fornisce, oltre a guardie private propriamente dette, materiali, mezzi, corsi di addestramento e equipaggiamento. Proposte come quelle di permettere la blindatura delle scuole mediante porte e finestre blindate in tutte le aule, con addirittura la possibilità di sigillare da remoto le aule, significa un giro di affari da centinaia di milioni di dollari. Addestrare il personale a reagire a un active shooter significa spendere centinaia o migliaia di dollari su ogni membro dello staff che venga designato per questo compito. Introdurre guardie private significa altri milioni di dollari per stipendiarle o per pagare le società che le forniscono. Misure, queste, squisitamente keynesiane in quanto stimolerebbero mediante la spesa pubblica il mercato e permetterebbero di riassorbire, in parte, la disoccupazione rampante tra i veterani delle recenti guerre, un problema endemico negli USA, riciclandoli come contractor nelle scuole.

Questa proposta, sopratutto, si inserisce nella generale tendenza alla militarizzazione della società, tendenza cui assistiamo più o meno ovunque. In una fase in cui aumenta grandemente la massa di persone destinate a una disoccupazione o ad una sottoccupazione cronica a causa del cambio di paradigma nei sistemi produttivi – manifatturieri e cognitivi – è necessario aumentare il controllo sociale. La militarizzazione altro non è che l’altra faccia della medaglia rispetto a sistemi di gestione della miseria come il reddito universale. Si dovrà pure gestire in qualche modo la crescente massa di esclusi, di poveri e di semi-poveri, no? Carota e bastone sono sempre buoni metodi.

Diventa pertanto necessario trasformare ancora di più le scuole in caserme, per prevenire sommovimenti sociali e per abituare gli individui fin da giovani alla militarizzazione della società. Negli USA la situazione non è stagnante, nonostante spesso ce la si rappresenti come tale. La rivolta di Ferguson, il movimento BLM hanno riportato in primo piano il tema dell’intersezione tra dominio di classe e dominio razzializzato. Hanno fatto paura perché l’anno scorso hanno dimostrato di non essere recuperabili e cooptabili, disertando in massa le urne nonostante gli sforzi del Democratic Party. Allo stesso modo in questi giorni è in atto una vasta mobilitazione degli insegnanti, in sciopero selvaggio in West Virginia e sul piede di guerra in altri stati, per ottenere assicurazioni sanitarie decenti ed aumenti salariali, al fianco dei quali si sono schierati molti studenti. Le mobilitazioni ambientali contro il fracking e la volontà di riprendere le estrazioni di carbone sono in espansione, l’insediamento di Trump è stato segnato da uno sciopero generale, da scontri in molti città e da imponenti mobilitazioni sulle questioni di genere.

A fianco di queste vi sono state le solite, variegate, proposte di restringimento delle possibilità di accesso alle armi da fuoco, le quali ovviamente buona parte della sinistra nostrana, tra cui pezzi e pezzettini di movimento, riprendono, decidendo così di affidarsi all’opinione del Democratic Party statunitense piuttosto che sentire che cosa hanno da dire organizzazioni militanti e movimenti sociali negli Stati Uniti. D’altra l’egemonia è quel meccanismo per cui l’ideologia propria della classe dominante penetra anche in coloro che vorrebbero opporsi ad essa, per cui non ci stupiamo del fatto che pezzi della sinistra radicale europea vadano dietro al Democratic Party ed ignorino bellamente Redneck Revolt, Rosa Negra/Black Rose e altri compagni, e ho fatto solo due nomi per non fare un elenco lungo.

Il babau della sinistra liberale – la famigerata NRA – è favorevole a queste misure di militarizzazione, così come è favorevole a certe forme di gun control al pari della stessa amministrazione Trump, in quanto rappresenta gli interessi di una frazione della middle-upper class bianca. Sa benissimo che misure come maggiori background check o il vietare l’acquisto di armi ai minori di 21 anni non influirebbero sui propri soci. Anzi; non dimentichiamo che in passato ha appoggiato misure restrittive per l’accesso alle armi purché riguardassero le persone di colore – emblematico fu il caso californiano negli anni ’60 in cui venne limitato il porto in pubblico di armi come risposta alle manifestazioni del Black Panther Party – e se ne è ampiamente fregata di omicidi ingiustificabili come quello di Phileando Castile, un nero dotato di porto d’armi per difesa personale ammazzato a freddo da un poliziotto durante un controllo a un posto di blocco, il tutto immortalato in video.

La NRA ha dimostrato di guardare con favore a qualsiasi misura che tenga appartenenti a minoranze e poveri lontani dalle armi e di non essere neanche interessata a tutelare proprietari di armi che non siano parte della propria demografia di riferimento – questo in quanto rappresenta gli interessi di quelle migliaia di piccole imprese semi-individuali che campano grazie alla militarizzazione sempre maggiore della società e che sono favorevoli a tutte le politiche in quella direzione. Non penseremo mica che i grandi produttori di armi belliche, il complesso militare industriale, abbiano bisogno della NRA per tutelare i propri interessi, che risiedono nelle guerre propriamente dette?

È da notare, per altro, che i siti e i libri scritti da persone legate alla NRA che affrontano a guisa di manuale, ovvero una forma di comunicazione che dovrebbe essere puramente tecnica e imparziale, le tematiche legate alle armi da fuoco, come i manuali sul tiro operativo scritti da Massad Ayoob (manuali che sono punti di riferimento internazionali anche per molti tiratori sportivi) o da altri autori, hanno un sottotesto profondamente influenzato dall’ideologia della middle-upper class americana, trasudano di giustificazioni per gli omicidi compiuti dalla polizia e di sperticati elogi alle forze dell’ordine. Non è un caso che da qualche anno si parli specificatamente di “gun culture” e che esistano anche corsi di studi dedicati allo studio di questi fenomeni (segnalo per chi fosse interessato il fondamentale sito Gun Culture 2.0 del sociologo e tiratore sportivo David Yamane).

L’amministrazione Trump ha fatto di tutto per spostare la discussione della vicenda sulla questione della salute mentale. Ora intendiamoci: tradotto in soldoni questo significa semplicemente medicalizzazione del disagio psichico, disagio che non può non essere presente in una società alienata, e possibile ritorno a metodi ancora più autoritari. La questione della salute mentale è reale, non solo negli USA, e va affrontata; ma abbiamo un secolo di disastri e tragedie causate dalla gestione puramente medicalizzata a indicarci che non è quello il modo corretto di procedere, anche se è l’unico modo pensabile di procedere nel paradigma di una società alienata. Per altro dovremmo sottolineare che chi compie attacchi come quelli di Parkland non è per nulla detto che lo faccia perché clinicamente instabile. In realtà, chi compie simili atti agisce in modo perfettamente coerente ed interno ai paradigmi della nostra società, allo stesso modo in cui non si possono trasformare gli omicidi di genere in questioni mediche – il famoso raptus di follia con cui ci ammorbano i giornali in ogni occasione – non si può pretendere di ridurre una questione sociale con molteplici implicazioni in una questione di gestione del disagio psichico.

Per altro rimane sempre il problema del chi definisce chi è pazzo. Fino a pochi decenni fa un omosessuale o una lesbica erano clinicamente considerati malati – questo lo diceva il DSM non un qualche psichiatra di provincia – ed i soggetti transessuali esperiscono ancora adesso un simile trattamento. In base a questo ragionamento sarebbe stato necessario impedire ad omosessuali e transgender di accedere alla possibilità di difendersi da aggressioni. Come si vede non è esattamente una questione semplice, nonostante quanto sostengano sia i Trump, che ha dichiarato di essere favorevole al sequestro di armi a persone “pericolose” – di nuovo: definiti tali da chi? – senza passare da un “due process”, un giusto processo alla base dello stesso diritto liberale, sia i vari liberal alla Clinton.

La demografia di chi compie massacri nelle scuole dice più di quanto dica tutto il resto. Mentre la stampa europea si intruppa dietro al Washington Post e al New York Times, viene fuori che nel caso di Parkland, per l’ennesima volta, l’attentatore è un suprematista bianco che rientra perfettamente nella demografia dei responsabili di killing spree da active shooter: bianco, under trenta, di famiglia piccolo borghese. In altre parole quella componente demografica, piccolo borghese, suburbana e bianca, che ha visto attaccata la sua posizione relativamente privilegiata – estremamente privilegiata rispetto ad altre componenti sociali – e che è tra i maggiori supporter della presidenza Trump (che ha preso, ricordiamolo, più voti dai bianchi suburbani che dai bianchi rurali nonostante quanto ne dica la vulgata classista dei liberal) e che, persasi nelle nebbie della confusione, delira contro il mondo moderno.

L’origine di queste stragi è da ricercare internamente alla classe media bianca e alle sue forme di pensiero: darwinismo sociale, individualismo nel senso negativo, misoginia – l’autore della strage di Parkland era attivo in forum di misogini che sono organicamente parte dell’alt-right – suprematismo bianco. Un atto di questo genere è un atto che ricorda molto da vicino le modalità di azione del nazismo e del fascismo, sopratutto di quello spontaneista: assoluto disprezzo per gli altri individui che in qualche modo non abbiano avuto accesso a un qualche livello di illuminazione e non siano iniziati alla visione giusta, eterna, immutabile del mondo ed è indifferente che questa iniziativa avvenga tramite un qualche rito iniziatico come nelle varie società segrete che costituirono poi l’inner circle del NSDAP o avvenga tramite l’attiva frequentazione di forum online. L’attentatore si astrae dalla massa su cui scarica le sue armi in un rito di purificazione e compie l’affermazione di sé. Ci troviamo di fronte all’eterno ritorno della cultura di destra. L’attentatore in questo caso ha scelto di attaccare quelli che sono i membri della stessa comunità – comunità di cui a parole i nazisti si ergono a paladini – e non ha attaccato membri di una comunità individuata come “altra” – come invece era accaduto, sempre per mano di un giovane suprematista bianco, a Charleston nel 2015 – ma non c’è da stupirsene. Il “soldato politico” della cultura di destra si considera superiore, facendo sua una mentalità predatoria, anche, e sopratutto, a coloro che dice di voler difendere. Le pagine degli scritti di Evola, e lo stesso Mein Kampf di Hitler o il Mito del XX secolo di Rosenberg, sono pieni di passaggi che esplicitano questa visione. Nihil novi sub sole.

L’unica risposta sensata a tutto questo è l’autorganizzazione. Come ha scritto il 27 febbraio il network di Redneck Revolt:

“Nei giorni seguenti al massacro di Parkland il dibattito pubblico si è spostato sul tema della prevenzione. Questo è lo stesso dibattito che si crea ogni volta che accade una tragedia simile ed è comprensibile. Quando una persona sceglie di scaricare la propria rabbia sui propri simili, sui propri vicini o colleghi, l’inclinazione naturale porta a cercare un modo fare si che ciò non possa accadere mai più. Per molte persone la soluzione più ovvia è una stretta legislativa sulle armi: se togliamo le armi queste non potranno cadere nelle mani di assassini di massa.

Per quanto possiamo trovare comprensibile questo volere agire immediatamente con i mezzi più apparentemente semplici dobbiamo ricordare che i problemi sistemici non possono che essere risolti andando alla radice degli stessi: in questo caso suprematismo bianco, misoginia e alienazione sociale. Questioni sociali di questo calibro richiedono una risposta collettiva e comunitaria e non possono essere aggiustate tramite provvedimenti legislativi che non hanno nessun effetto sulla cultura della nazione o sulla vita quotidiana delle persone ordinarie. É imporrante riconoscere due questioni fondamentali:

1) rimuovere una particolare arma da fuoco [si riferiscono al dibattito sui fucili semiautomatici, soprattutto sugli AR15 ndt] non fermerà chi vorrà commettere violenza di massa o mitigherà quanto potranno fare. Una persona determinata può ottenere gli stessi risultati ottenibili con un AR15 con un fucile da caccia e le sostanze per fabbricare bombe si trovano sotto il lavandino della cucina.

2) Le armi da fuoco non sono una questione esclusiva della NRA, dei fascisti o dei killer antisociali. Sono spesso un deterrente o l’ultima linea di difesa per poveri e appartenenti a minoranze discriminate. La storia è piena di esempi di vittime di ingiustizia istituzionalizzata e strutturale che sono state in grado di preservare la propria vita e quella dei propri cari grazie alla volontà e alla possibilità di usare un fucile. Dall’insurrezione di Oka nei territori Mohawk occupati, a Robert F. Williams e le organizzazioni locali del NAACP che si armarono e si autodifesero contro il KKK. L’accesso alle armi ha preservato la vita di persone che la società non aveva interesse a difendere.

Dobbiamo chiederci realisticamente se la volontà di risolvere la questioni degli omicidi di massa tramite una legislazione emergenziale invece di un profondo cambiamento culturale non finirebbe con lo spogliare della possibilità di difesa senza risolvere alcun problema. Questa tradizione [di difesa armata delle comunità e degli individui marginalizzati ndt] è ancora viva oggi e sta vivendo una seconda primavera. Nuovi, emancipatori club di tiratori e gruppi di difesa comunitaria stanno sorgendo rapidamente, molti di questi sono nati specificatamente per difendere le persone oppresse. Una lista di questi gruppi è presente di seguito.

John Brown Gun Club

Black Women Defense League

Indigenous Defense League

Huey p. Newton Gun Club

Guerilla Mainframe

Brothas Against Racist Cops

Trigger Warning

The Pink Pistols

Socialist Rifle Association

National African American Gun Association

Black Guns Matter”

Per ulteriori articoli sull’argomento rimando agli articoli, reperibili sul sito di Umanità Nova, e su questo blog:

La propaganda alla prova dei fatti 1 e 2, La stretta autoritaria, Genealogia della violenza poliziesca e La Social-misantropia. Inoltre per un’analisi sul fenomeno delle stragi nelle scuole rimando a “The fatal pressure of competion” di Robert Kurz (Gruppo Krisis).

Informazioni su lorcon

Mediattivista, laureato in storia contemporanea con attitudine geek, nasce nel sabaudo capoluogo (cosa che rivendica spesso e volentieri) e vive tra Torino e la bassa emiliana. Spesso si diletta con la macchina fotografica, lavora come tecnico IT, scrive sul suo blog e su Umanità Nova.
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