La propaganda alla prova dei fatti

Questa è la prima parte di un lavoro diviso in due parti sulla questione della diffusione delle armi da fuoco negli Stati Uniti. La seconda parte si trova qua.

Articolo apparso su Umanità Nova numero 31 anno 95

Armi negli Stati Uniti

La propaganda alla prova dei fatti

[…]La Home Guard può esistere solamente in un paese dove gli uomini si considerino liberi. Gli stati totalitari possono fare grandi cose ma ce ne è una che non possono fare: non possono dare al proletario un fucile e dirgli di tenerlo a casa, di tenerso nella camera da letto. Il fucile appeso al muro dell’appartamento di un operaio o nel suo cottage è il simbolo della democrazia. É nostro dovere fare in modo che stia lì.”

George Orwell, traduzione a cura dell’autore dell’articolo

La Home Guard era la milizia territoriale creata durante la seconda guerra mondiale per la difesa del territorio della Gran Bretagna da una possibile invasione da parte dell’Asse. In essa un pensatore socialista, libertario e democratico radicale come Orwell, forte dell’esperienza maturata nella Catalogna rivoluzionaria, vedeva la base stessa della difesa non solo dalla “bestia nazifascista” ma da qualsiasi attacco alle condizioni di vita della classe lavoratrice, da qualsiasi atto autoritario. Una simile concezione, scevra spesso dagli elementi di classe, è largamente presente tra la popolazione statunitense. Negli ultimi anni abbiamo assistito a continue polemiche riguardo alla diffusione delle armi negli USA e pensiamo che sia l’ora di mettere a fuoco una serie di problemi largamente taciuti sia da parte dei settori della destra del Democratic Party che da parte del Republican Party. Innanzi tutto prenderemo in analisi i dati e le statistiche riguardanti la diffusione delle armi da fuoco e degli atti di violenza, poi passeremo ad un’ipotesi di lavoro tesa a spiegare le differenti posizioni in merito alla questione e, infine, ad un’ipotesi di lavoro in merito alle contraddizioni presenti.

I dati

Secondo le statistiche compilate dal Centers for Disease Control (CDC) e dal Boreau Justice Statics statunitensi in questi anni c’è stato il più basso numero di crimini con uso di armi da fuoco, e questo nonostante il bando sulle armi full-auto voluto dall’amministrazione Clinton nel 1994 sia scaduto nel 2004. Tanto per dare qualche dato: 18.253 omicidi nel 1993 contro 11.101 omicidi nel 2011 e un milione e mezzo di vittime di crimini non fatali commessi con armi da fuoco (ferimenti, rapine a mano armata eccetera) nel 1993 contro i 467.300 del 2011. Le sbandierate trentamila morti l’anno causate dalle armi da fuoco negli USA, nel 2010 sono state 31,672 ed erano così composite: 19,392 suicidi, il restante omicidi. E in mezzo a questi dati ci sono anche tutti gli omicidi commessi per autodifesa contro un assalitore armato. E la provenienza per le armi usate per commettere reati? I dati più recenti, che purtroppo risalgono al 2004, e ci danno questo quadro: 10% da rivendite come i banchi dei pegni, 37% ottenuto in vario modo, quindi anche non consenziente, da familiari, 40% dal mercato illegale.1

//// Aggiornamento con i dati 2016, inseriti il 6/10/2017 ////

Tenendo sempre per buoni i famosi 30.000, equivalenti allo 0.000000925% della popolazione totale, morti per armi da fuoco all’anno come dato di massima nel 2016 abbiamo avuto la seguente composizione:

il 65 % di questi sono stati suicidi
15% sono stati morti causati da agenti di polizia (di qualsiasi livello) in servizio (legalmente parlando non sono crimini ma va necessariamente aperta una questione sul perché la polizia statunitense ammazza così tanto, cosa che ho fatto qui https://photostream.noblogs.org/2013/10/geneaologia-della-violenza-poliziesca/ , qui https://photostream.noblogs.org/2016/07/black-lives-matters/  e qui https://photostream.noblogs.org/2016/07/la-stretta-autoritaria-negli-usa/ )
17% omicidi volontari in vari contesti e con armi ottenute dalle più svariate fonti (per quanto riguarda gli omicidi nell’ambiente della criminalità quasi esclusivamente da fonti illegali)
3% morti accidentali

Il 17% equivale a 5100 morti sul territorio federale e il 25% di questi omicidi è concentrato in quattro città: Chicago (9,4% con 480 omicidi), Baltimora (6,7 con 344 omicidi), Detroit (6,5 con 333 omicidi) e Washington D.C (2,3 % 119 omicidi). Tutte e quattro queste città si trovano in stati con delle leggi sul controllo delle armi piuttosto restrittive (Washington per altro non appartiene a nessuno stato, è distretto federale). Baltimora, Detroit e Chicago sono città con un tessuto sociale che è stato letteralmente devastato negli ultimi 30 anni, tra delocalizzazioni e epidemie di consumo di stupefacenti (con annessi conflitti tra gang). A proposito di epidemie di consumo di stupefacenti il New York Times riporta (https://www.nytimes.com/interactive/2017/06/05/upshot/opioid-epidemic-drug-overdose-deaths-are-rising-faster-than-ever.html) che nel 2016 ci sarebbero state più di 59.000 morti dovute a overdosi di stupefacenti, legate alla nuova ondata nella diffusione di oppioidi (fentanyl, oxycodone che hanno largamente sostituito l’eroina in una dinamica che è tutta da analizzare) con un aumento del 19% rispetto al 2015. A queste va aggiunto il numero di morti dovute alle conseguenze a lungo periodo del consumo di oppiacei (problemi epatici, AIDS, infezioni, problemi circolatori, incidenti) in un paese dove l’accesso alla sanità è legato alle disponibilità finanziarie e dove il problema delle dipendenze è stato sempre affrontato con un rigoroso proibizionismo (tolto per il THC in alcuni stati e negli ultimi anni). Si muore dodici volte di più per la nuova epidemia di oppiacei che per le famigerate armi da fuoco, anche considerando picchi statistici come i grandi mass shooting (sulla cui definizione si torna poco più avanti). Si muore per le logiche del nostro modo di produzione. Le fonti dei dati di questo aggiornamento sono sempre le statistiche del CDC.

//// Fine editing 6/10/2017///

Insomma a fronte di un generale incremento delle armi in circolazione negli Stati Uniti, 310 milioni nel 2009, il doppio che nel 1968 e molto maggiore rispetto agli stessi anni novanta, il tasso di omicidi commessi con armi da fuoco è sceso del 49% dal 1993 al 20112. E i così detti “mass shooting”, ovvero quegli eventi che periodicamente riempiono le cronache di quotidiani e tv? Secondo quanto affermato dalla propaganda di Obama e dei suoi sodali sarebbero aumentati e diventati routine. Ma qua interviene un piccolo problema: come viene definito un “mass shooting”? È definito come una sparatoria in cui siano coinvolte almeno quattro persone, quindi qualsiasi conflitto tra gangs nelle aree metropolitane, quelle devastate dal deserto sociale per intenderci, a livello statistico viene definito un “mass shooting”; è facile capire, a questo punto, come i dati a questo punto risultino falsati dato che parliamo per lo più dei così detti “omicidi razionali”, ovverosia omicidi avvenuti per interesse economici e non per follia dell’esecutore, e che sono commessi per lo più con armi ottenute tramite canali illegali, l’esatto contrario della favoletta propagandata da certi settori del Democratic Party. La cosa preoccupante però è che soltanto il 12% dei cittadini americani è conscio del fatto che il tasso di omicidi commessi con armi da fuoco è calato enormemente dal 1993 mentre il 56% è convinto che sia aumentato.3

Bene, questi sono i dati, e di questi bisogna tenere conto prima di aprire una qualsiasi discussione.

Percezione dell’insicurezza e democrazia clientelare

Ora possiamo passare al piano delle ipotesi. Nella nostra opinione è evidente che la politica securitaria, quell’abominio politico che si fonda sulla consapevole distribuzione di notizie, tendenziose o direttamente false, tese ad aumentare il sentimento di insicurezza e paura tra la popolazione, sta continuando a fare i suoi danni dato che a livello di percezione si è convinti che gli omicidi siano aumentati quando in realtà si sono dimezzati. I mass media continuano a rappresentare le strade cittadine come un’orgia di sangue e violenza recapitata gentilmente a domicilio da piccoli delinquenti strafatti di crack quando i crimini sono diminuiti. A chi persegue la costruzione di una società militarizzata, dal conservativegunsgoverno federale con i suoi freddi burocrati o da quello statale con i suoi sceriffi alcolizzati, a chi come i liberal alla Clinton o come certi editorialisti del Washington Post, toglierebbe le armi a tutti per lasciarle solo alle forze armate federali e alle polizie locali a chi, come la Palin o Trump, darebbe le armi a qualsiasi maschio bianco cristiano e le toglierebbe volentieri a qualsiasi afroamericano o ispanico o nativo, sopratutto se povero, questa percezione fa comodo. La disinformazione e l’insicurezza diffusa sono i migliori strumenti per chiunque abbia un’agenda politica autoritaria.

Inoltre bisogna tenere conto di altri fattori per comprendere le differenti agende politiche dei democratici e dei repubblicani in merito alla questione delle armi, sopratutto quali sono le circoscrizione in cui prendono più voti. Al netto di un astensionismo intorno al 50% i Democratici si sono consolidati nelle aree urbane mentre i Repubblicani sono forti in ambito rurale. In mezzo a tutto questo bisogna tenere conto che le circoscrizioni elettorali americane sono disegnate in un modo che a primo occhio appare completamente irrazionale e che in realtà risponde alla logica delle lobby, non necessariamente rappresentanti del grande capitale ma anche di gruppi di interesse popolari e locali, e del fenomeno collegato del gerrymandering, le due grandi costanti della storia politica statunitense. Ora, a partire dagli anni settanta nelle aree urbane c’è stato un incremento della sensazione di insicurezza, per un periodo anche giustificato dai fatti, che ha portato ad avere i “rappresentanti delle comunità locali”, ovvero quelli che procacciano voti e detengono pacchetti di voti, preoccupati in merito alla diffusione delle armi da fuoco. Al contrario nelle aree rurali, comprese quelle storicamente depresse, questa sensazione è stata molto meno presente e il pericolo è visto sopratutto nello straniero, in chi ha una religione diversa o non ne ha una, nelle propaggini del governo federale. E al contempo nelle aree rurali detenere armi da fuoco è perfettamente normale data la forte tradizione venatoria e i retaggi della mentalità da pionieri.

La doppia contraddizione

Ora, teniamo conto di una cosa: l’ideologia americana radicata in ampissime parti della popolazione, a prescindere dalla collocazione di classe, è, a vario livello, antistatalista. La Carta dei Diritti, l’insieme degli emendamenti della costituzione statunitense in merito ai diritti individuali, è l’unica carta costituzionale al mondo che non solo riconosce il diritto all’insurrezione armata contro il governo ma che fornisce anche una copertura legale e ideologica agli strumenti per metterla in atto, l’organizzarsi in milizie armate. Chi scrive questo articolo non è certo un fan delle costituzioni ma bisogna ammettere che il secondo emendamento è fortemente indicativo della mentalità antistatalista che alberga in moltissimi statunitensi. Eppure questo sentimento è spessissimo legato ad un fortissimo patriottismo e ad una visione quasi randiana dell’economia, in una contraddizione tutta da affrontare. Il problema è che la sinistra americana, e intendo tutto quello che si muove alla sinistra della sinistra del Democratic Party, ha per lo più preferito concentrarsi sull’analisi del proprio ombelico e in deliri liberal/lifestyle in merito a qualsiasi cosa al posto di togliersi la molletta dal naso e andare a parlare con i proletari delle zone rurali che sono così rozzi e poco politically correct ma che non hanno altro da perdere che le loro catene fatte da piccoli-medi imprenditori locali, altri “rappresentanti delle comunità locali” di cui sopra, e dalle propaggini di qualche grande industria che ha spostato gli stabilimenti in zone storicamente poco sindacalizzate. E che al contrario di molti liberal-progressisti, diffidano istintivamente per l’azione statale.4

In mezzo a questo abbiamo poi altre due grandi questioni: quella dell’oppressione di razza e quella dell’oppressione di genere. I nostri biases sugli USA ci portano a pensare al possessore medio di armi come ad un redneck con posizioni politiche da Ku Klux Klan, che quando non è impegnato a bere whisky moonshine picchia la moglie con la cinghia. Il punto vero è che storicamente la possibilità di detenere e portare armi è stato un’importante fattore nei movimenti di emancipazione degli afroamericani in quanto era la base per costruire le squadre di autodifesa che agivano nelle zone rurali degli stati del sud per difendere i centri di aggregazione delle comunità nere, scuole, sale civiche e
congregazioni religiose, e le stesse abitazioni della comunità afroamericana. L’autodifesa armata è stata una tematica che ha attraversato trasversalmente le lotte dei neri: dal reverendo Martin Luther King, non violento ma non masochista che dopo un attacco alla sua casa si comprò svariate armi, ai settori più radicali e a tratti militaristi delle Black Panthers, che disposero che ogni membro dovesse armarsi. Stessa dinamica c’è stata per il movimento di emancipazione degli indigeni nel corso degli anni settanta, uno dei grandi rimossi della storia contemporanea statunitense.

Anche nell’ambito della risposta immediata all’oppressione di genere, l’autodifesa femminile davanti alle aggressioni, bisogna tenere conto dell’enorme numero di donne, sopratutto di fasce povere, che grazie alla detenzione di armi riescono a reagire e a fermare a tentativi di violenza.

Inoltre la visione liberal sui detentori di armi, spregiativamente chiamati gun-nuts5, ha un profondo substrato di odio di classe e razzismo nei confronti delle decine di milioni di proletari americani che vivono al di fuori dei confini delle grandi città metropolitane sulle coste, che hanno un diploma superiore da scuola pubblica o al più un diploma di un community college, che lavorano nell’agricoltura e nel settore industriale. Persone, di qualsiasi gruppo etnico, viste tramite l’ottica di una mentalità coloniale, incapaci di autoemancipazione, da educare e disciplinari alle magnifiche sorti progressive.

Negli Stati Uniti esiste un problema di violenza? Certo: in questi anni è toccato il picco dei morti causati dalla polizia6, coincidente con il picco in negativo dei poliziotti morti o feriti durante il servizio7, alla faccia della “war on cops” tanto sbandierata dalla Fox News, un numero altissimo e non facilmente quantificabile di statunitensi, di tutte le etnie, è costretto a vivere nei “trailers park” dove le condizioni di vita, tra lavori sottopagati e abbrutimento, spingono verso la violenza, il razzismo è sempre questione attuale, così come l’oppressione di genere, decine di migliaia di ragazzi ogni anno si trovano davanti alla necessità di arruolarsi come carne da cannone nell’esercito per potersi pagare gli studi o mettere da parte il tanto necessario per comprarsi una casa, migliaia di veterani delle ultime guerre si ritrovano senza sussidi sociali (il tasso di homelessness tra i veterani è molto alto8). E la galleria potrebbe tranquillamente continuare.

Insomma: la violenza è strutturale e quotidiana, e nel 99,999% non data da pazzi armati che sparano ai compagni di classe, come in qualsiasi società basata su una non equa distribuzione delle risorse e su sistemi politici autoritari.

lorcon

L’analisi continua qua

1 http://tinyurl.com/cqcbfr8

2 http://tinyurl.com/pvz6ll4

3 http://tinyurl.com/pvz6ll4 e http://tinyurl.com/kdnkcae

4 Si veda a tal proposito l’ottimo libro “La bibbia e il fucile” di Joe Bageant, Bruno Mondadori, 2010, che esplora gli aspetti meno conosciuta dell’”America profonda”

5 https://libcom.org/library/rednecks-guns-other-anti-racist-stories-strategies

6 http://killedbypolice.net/

http://www.nleomf.org/facts/officer-fatalities-data/year.html

http://www.va.gov/HOMELESS/docs/2010AHARVeteransReport.pdf

Informazioni su lorcon

Mediattivista, laureato in storia contemporanea con attitudine geek, nasce nel sabaudo capoluogo (cosa che rivendica spesso e volentieri) e vive tra Torino e la bassa emiliana. Spesso si diletta con la macchina fotografica, lavora come tecnico IT, scrive sul suo blog e su Umanità Nova.
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