Tra padroni continentali e padroni insulari – Brexit?

Questo articolo verrà pubblicato sul numero 23 anno 96 di Umanità Nova

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Il premier Cameron insieme ad un suo compagno di giochi, non sappiamo quanto consenziente.

Il voto del referendum nel Regno Unito pone le basi per significative modifiche alla situazione internazionale. Intanto il voto ha fatto emergere definitivamente divisioni interne al territorio del Regno Unito: la Scozia, nazione costituente del regno, ha fatto capire che tenderà alla completa indipendenza da Londra e richiederà autonomamente di rientrare nell’Unione Europea. Anche in Ulster riprendono fiato le politiche indipendentiste, tese a riunificare le contee con l’Eire e, di conseguenza, rientrare nell’UE. Nei fatti il risultato del referendum rischiano di far collassare l’assetto oramai plurisecolare, l’ultima modifica di rilievo era stata l’indipendenza dell’Eire quasi novantacinque anni fa, delle isole britanniche. Il Regno Unito insomma non sarà più tanto unito e rischia di divenire solo l’unione tra Inghilterra e Galles.

Se si dovesse concretizzare a breve, come sembrano indicare tutti i fattori, l’indipendenza della Scozia, già sfiorata e non concretizzatasi per pochissimi punti percentuale nel 2014, lo UK perderebbe l’accesso al mare del nord con le sue cospicue riserve petrolifere e le sue acque pescose e, contemporaneamente, la finanza londinese, dove vengono trattati sul mercato azionario e su quello dei futures le commodities petrolifere del Mare del Nord, subirebbe un duro colpo. Colpo, per altro già iniziato, come mostrato dalla sterlina ai minimi storici, alla diminuzione del rating per i prodotti finanziari made in UK e la decisione di molte banche e imprese finanziarie di spostarsi da Londra ad altre piazze europee. Insomma il settore finanziario, punto di forza del Regno Unito, non solo perderà la sua centralità ma rischierà di trascinare al collasso altri settori economici. Anche perchè già in questi giorni molte banche internazionali con sede a Londra han cominciato a migrare. Ma le conseguenze a livello geopolitico non si fermano qua: intanto il principale interlocutore tra USA e UE si è estromesso da solo da questo ruolo. Finora il mantenimento di una Unione Europea stabile internamente e lanciata anche aggressivamente verso est è stato funzionale agli interessi egemonici statunitensi. Certamente gli USA possono sempre contare sui paesi dell’Est-Europa ma perdono una grossa fetta di influenza. Se la UE poteva definirsi come il luogo politico ove si sono incontrati gli interessi congiunti Italo-Franco-Anglo-Tedeschi con quelli statunitensi grazie al legame speciale tra USA e UK ora tutto questo è un po’ meno vero. E attenzione: uno sfaldamento del Regno Unito a causa dell’uscita della Scozia sul breve termine e quella dell’Ulster sul medio termine avrebbe grosse conseguenze anche a livello militare. Le forze armate dello UK sono una delle principali strutture militari al mondo, con capacità di proiezione marittima non indifferente. Indebolendosi lo UK gli USA perdono un alleato affidabile e forte.

Ma anche a livello interno le conseguenze saranno pesanti. La Brexit è attribuibile in primo luogo al premier Cameron. È stato lui che ha indetto questo referendum per un gioco di potere interno ai Tories: il gioco era indire il referendum per dimostrarsi pronti ad affidare alla volontà popolare la scelta di uscire dalla UE, fare campagna per rimanere nella UE, vincere il referendum e sconfiggere così l’ala di destra del partito, quella che intrattiene buone relazione con lo UKIP, il partito dell’aristocrazia, nazionalista e razzista. Peccato che il gioco sia scappato di mano al giocatore e il povero Cameron passerà alla storia come il più grande imbecille che è passato per Downing Street. Si vede che le lauree ad Eton e le controverse pratiche con i maiali morti non donano intelligenza.

Certo, il partito dei Tories può sempre cercare di non ratificare il referendum in parlamento o tardare il più possibile la sua applicazione, ma così facendo andrà incontro ad una debacle elettorale da cui difficilmente si riprenderà, tradendo il voto di molti suoi elettori che passeranno allo UKIP. E in ogni caso il processo di disgregazione del Regno Unito non si fermerà per quanti bastoni di traverso il parlamento possa mettere tra le ruote: la Scozia è andata vicina all’indipendenza due anni fa e ora la sua classe dirigente sembra più decisa che mai ad ottenerla, in Ulster nel giro di pochi anni vi sarà il sorpasso demografico della componente cattolica e repubblicana su quella protestante e unionista. In ogni caso gli accordi di fine anni novanta che, dopo gli attentati ai centri finanziari inglesi che avevano prodotto miliardi di sterline di danni, accordi sponsorizzati dall’amministrazione Clinton, avevano messo fine a trenta anni di troubles in cambio di concessioni allo Sinn Fein, dovranno essere rinegoziati.

In ogni caso l’ala che fa riferimento al governo Cameron nel Partito Conservatore esce sconfitta da questo referendum, mentre forti tensioni attraversano il Labour, con l’ala centrista del partito che accusa il leader Corbyn di aver puntato poco sul no alla Brexit per strizzare l’occhio alla sinistra antieuropeista. Lo UKIP di Farage sembra essere il vero vincitore ma gira voce che non siano dotati di abbastanza intelletto, d’altra parte sposarsi tra consanguinei per preservare la purezza del proprio sangue blu non giova, per andare realmente al governo.

In ogni caso coloro che risultano come probabili prime vittime di questo referendum, giocato tra due soluzioni che dal nostro punto di vista non sono ambedue accettabili, saranno quelle centinaia di migliaia di lavori immigrati da altri paesi UE verso l’inghilterra. Italiani, polacchi, rumeni il cui lavoro regge il settore dei servizi dell’intera Londra e di altre grandi città che ora saranno messi in posizioni di ulteriore ricattabilità in quanto privati della protezione che in qualche modo l’essere cittadini UE in territorio UE garantiva.

Una parte della sinistra britannica, illusa che le politiche di austerità dipendessero principalmente dalla UE e sempre meno dai padroni del vapore muniti di Union Jack, ha votato compattamente per l’uscita dalla UE, dimenticandosi che queste politiche erano iniziate con la Tatcher, continuate con Blair e ulteriormente inasprite dai governi liberal conservatori e poi conservatori e basta ben prima che la famigerata Troika entrasse in campo.

La situazione, in definitiva, appare complessa e va analizzata in profondità e con rigore analitico, senza farsi da facili entusiasmi. Non sarà un referendum a porre le basi per la nostra emancipazione.

 

Informazioni su lorcon

Mediattivista, laureato in storia contemporanea con attitudine geek, nasce nel sabaudo capoluogo (cosa che rivendica spesso e volentieri) e vive tra Torino e la bassa emiliana. Spesso si diletta con la macchina fotografica, lavora come tecnico IT, scrive sul suo blog e su Umanità Nova.
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