Appunti sparsi per una discussione sull’hacktivismo

Articolo apparso originariamente su Umanità Nova 35 anno 92
L’attacco informatico portato a termine e rivendicato da Anonymous contro la rete informatica del Ministero degli Interni ha portato alla pubblicazione di migliaia di documenti riservati. Al contrario di altre iniziative di questo network ha destato ben poco scalpore: pochi articoli di giornale, giusto qualche trafiletto, pochissimi servizi televisivi, posizione in secondo piano nelle testate online. Eppure questo attacco qualche discussione l’avrebbe dovuta sollevare: intanto ci sarebbe aspettato maggiore risalto sui media mainstream dato che non è notizia di tutti giorni che il sistema informatico della Polizia di Stato venga violato e sarebbe stata auspicabile una discussione rimasta per ora solo allo stato embrionale, all’interno di quel variegato mondo che va sotto l’etichetta di “movimento”. Infatti in mezzo a queste migliaia di documenti divulgati ve ne sono alcune decine riguardanti il movimento No Tav tra cui alcune informative che contengono nomi, cognomi e indirizzi di decine di militanti. Non è una questione secondaria ed apre diversi problemi su cui, a mio avviso, è necessario riflettere. Intanto viene accettata quasi acriticamente la pubblicazione di dati personali di militanti coinvolti a vario livello nella lotta contro il TAV e in generale nei movimento sociali e la conseguente esposizione a pericoli facilmente intuibili. A chi faceva notare questo sul blog del gruppo veniva risposto che dato che la polizia già era in possesso di quei dati non vedevano nessun problema nel pubblicarli. Una risposta che oltre denotare un’ingenuità totale lascia trasparire un certo fondo di stupidità: per gli attivisti l’unico pericolo sono i poliziotti? E sopratutto dove va a finire la libertà di anonimato, libertà rivendicata storicamente da chi ha incentrato sull’attivismo in rete la propria azione politica? Il fenomeno di anonymous segna un vero e proprio cambio di paradigma da diversi punti di vista. Tutta quelle rete che a partire dagli anni novanta portava avanti l’attivismo digitale legandosi strettamente con i movimenti sociali e dando il via ad una serie di esperienze di alto valore come il network di Indymedia, Riseup, Isole nella Rete (ECN), Autistici/Inventati, Indivia, Freaknet, gli hacklab e gli hackmeeting ha avuto (ed ha ancora) delle caratteristiche peculiari: uno strettissimo legame con i movimenti sociali in quanto molti degli attivisti digitali sono anche militanti nei movimenti reali, l’adozione di un’etica hacker, l’orizzontalità e la trasparenza decisionale, la volontà di espandersi. Tutte caratteristiche che stanno ad indicare la consapevolezza di essere calati all’interno di un contesto sociale e politico che trascende l’utilizzo dei mezzi tecnologici e si pone su un piano più generale di costruzione di un’alternativa radicale all’attuale barbarie. Ma con il tempo sono emerse, a mio avviso, delle problematiche tuttora insolute: intanto non vi è stato un adeguato ricambio generazionale, ovvero l’immissione di “forze fresche” all’interno della rete, secondariamente i movimenti non hanno recepito appieno la lezione dell’hacktivismo. Il non recepire gli insegnamenti di questa esperienza ha portato alla formazione di due poli attrattori nella concezione della rete: da un lato chi considera tutto quello che implica l’utilizzo delle nuove tecnologie come una perdita di tempo o quasi, riproponendo lo stereotipo del nerd totalmente alienato e avulso dalla società, e dall’altro chi entusiasticamente si butta acriticamente nell’utilizzo dei mezzi di comunicazioni basati sulle reti sociali, quali i social network, inconsapevoli dei giganteschi rischi di cui questi mezzi sono intrinsecamente portatori. Tornando alla questione anonymous non possiamo fare a meno di notare come questa rete di attivisti stia agendo in modo totalmente opposto ai principi base dell’attivismo digitale: divulga dati di decine di attivisti e dai suoi comunicati sembra quasi volersi ergere a giustiziere e vendicatore dei movimenti, nello specifico di quello No Tav. E provoca un certo dispiacere e imbarazzo vedere che alcune realtà di movimento si sono lanciate in sperticati elogi dell’operato di anonymous lasciando da parte qualsiasi senso critico per lanciarsi all’inseguimento di quella che in certi ambienti è stata la notizia del giorno. Addirittura alcuni si lanciano in calcoli sui rapporti costi/benefici dell’operazione e in base al loro opinabile metro di giudizio giungono alla conclusione che il dimostrare che anche il nemico ha delle falle nel sistema di sicurezza vale bene la perdita di sicurezza per decine di militanti (perchè mettere in rete gli indirizzi vuol dire esporre a pericoli di non poco conto delle persone). E viene allora da chiedersi chi ha il diritto di arrogarsi decisioni di questo tipo: può un gruppo di sconosciuti, esterni alle realtà coinvolte, decidere di divulgare dati così sensibili ed ergersi a giustiziere della notte? Non è questa un’operazione che puzza estremamente di avanguardismo? Come è possibile accettare una simile operazione, piratesca nei confronti di chi si spende per la lotta sociale, senza aprire una minima discussione? Operazioni di questo tipo non solo mettono a repentaglio l’incolumità e la privacy (che, checchè ne dicano alcuni, all’interno dell’attivismo digitale è un valore) di decine di militanti ma sono anche puramente spettacolari. Infatti delle migliaia di documenti trafugati e pubblicati ben pochi sono realmente interessanti. A questo punto viene da chiedersi che senso hanno queste prove di forza che sembrano solamente fini a se stesse e alla creazione di una spettacolarizzazione e di una mitologia intorno ad un gruppo come Anonymous. Gruppo che si diverte troppo spesso a giocare con la privacy dei navigatori: è di poco tempo fa la notizia della pubblicazione degli indirizzi IP ed e-mail di centinaia di iscritti ad un forum su cui era presente materiale pedopornografico. La bordata emotiva che tende a colpire molti appena si sente parlare di pornografia minorile fa dimenticare che, ad esempio, alcuni tra gli indirizzi IP potrebbero essere di mantenitori di nodi della rete TOR, la rete che permette, tra le tante cose, ai dissidenti politici dei paesi dittatoriali di accedere al web senza incorrere in censure,  e che gli determinati indirizzi mail potrebbero essere stati rubati, data la totale incompetenza nel creare password che contraddistingue moltissimi utenti. L’hacktivismo passa tramite la creazione di consapevolezza intorno all’uso degli strumenti tecnologici e tramite tecnologie che permettano un accesso libero alle reti informatiche, tramite l’appiattimento del digital divide, tramite la diffusione delle autoproduzioni e del trashware per emanciparsi dall’uso dei prodotti delle multinazionali, tramite uno stretto legame con chi lotta tutti i giorni per la creazione di una società diversa. Se i movimenti e chi si si avvicina ad essi non sapranno cogliere questi dati rimarranno prigionieri del circolo vizioso rappresentato da un lato da chi sulla rete crea strutture di potere, ISP, governi, multinazionali, social network commerciali, e dall’altro da chi, più o meno inconsapevolmente e ingenuamente, si erge a paladino non richiesto dei movimenti, indossando una maschera, quella di V, portata al successo, tra le bestemmie del suo creatore, da un’operazione commerciale che ne stravolge il senso politico. Si abbandona il campo della politica dal basso e si entra nel campo dell’infoitamen, della spettacolarizzazione, dell’emotivizzazione degli eventi, della riproduzione dello spettacolo vigente, per dirla con Guy Debord.
lorcon

Informazioni su lorcon

Mediattivista, laureato in storia contemporanea con attitudine geek, nasce nel sabaudo capoluogo (cosa che rivendica spesso e volentieri) e vive tra Torino e la bassa emiliana. Spesso si diletta con la macchina fotografica, lavora come tecnico IT, scrive sul suo blog e su Umanità Nova.
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