In quel di Reggio Emilia a nord rispetto alla stazione FS abbiamo quelll’enorme monumento alla deindustrializzazione che sono i capannoni abbandonati dell Officine Meccanche Reggiane (o OM Reggiane). Da importante centro industriale della prima metà del novecento dove venivano costruiti aerei militari (tra cui i famosi Caproni) materiale ferroviario e grandi strutture, bombardata dagli alleati e teatro di una strage compiuta dall’esercito badogliano il 28 luglio del 43 a danno dei lavoratori e delle lavoratrici in sciopero, a polo delle lotte operaie dei primi anni cinquanta (la famosa occupazione e il famosissimo trattore autocostruito R60) alla normalizzazione voluta dall’intero arco costituzionale negli anni 50 e 60 fino alla nuova conflittualità operaia negli anni settanta e ottanta. Da importante centro produttivo, uno dei più grossi della regione, con un indotto mostruoso e migliaia di operai, alle restrutturazioni industriali degli anni 90, con privatizzazioni e passaggi di mano tra vari proprietari. Da un decennio circa sono cessate tutte le attività e i capannoni e le palazzine uffici sono diventate rifugio per un numero non ben quantificato di persone senza casa e polo d’attrazione per decine di writers che hanno prodotto opere notevoli. Ciclicamente i tromboni del comune reggiano in concorso con i tromboni dell’UniMoRe, e ultimamente ri rockers da strapazzo come Ligabue, cianciano di riqualificazione, costruzione di un centro eventi, espansione di un tecnopolo. Peccato che il sito è enorme, pieno di amianto e con i terreni impregnati di olio minerale e altre sostanze chimiche. Paradossalmente la soluzione ideale sarebbe quella di non fare niente nell’area se non lasciare i writers fare i writers, costruire soluzioni abitative dignitose per chi ci abita suo malgrado dentro, e, magari, fare un museo dell’industria, che male non fa, dentro gli ex uffici. Qua sotto una selezione di foto della minima parte di capannoni che ho visitato con altri compari nei giorni scorsi