Il sei di maggio del 2021, alle ore 20.00, in un appartamento di Torino, Cesare, il gatto con cui ho condiviso 14 anni di vita, è morto.
Gli rimanevano pochi giorni di vita: uno osteosarcoma, in forma probabilmente maligna, partito da una vertebra lombare gli aveva distrutto l’innervatura degli arti inferiori, paralizzandolo, e, cosa ben più grave, aveva pesantemente danneggiato quella degli stessi organi interni: un blocco renale dovuto all’accumolo di urina che, in una vescica incapace di svuotarsi, sarebbe risalita verso i reni era imminente. Se non ci fosse stato un blocco renale ci sarebbe stato un blocco intestinale. Il risultato non cambia: avvelenamento da cataboliti, sepsi, shock. O magari una polmonite ingestiva dovuta a una crisi di vomito.
Ho abbastanza conoscenza della fisiologia dei mammiferi per sapere come si muore in questi casi.
Di fronte a questa prospettiva ho preferito ucciderlo io. Certo, una veterinaria ha praticato la sedazione profonda e ha preparato la flebo, ma lo stantuffo che ha lanciato nel suo torrente ematico un mix di curaro e oppioidi l’ho premuto io, coerentemente con l’idea che se si prende una decisione se ne porta il peso. Ho seguito il suo polso carotideo fino all’ultimo, sentendo il battito diventare sempre più debole ed erratico, in un modo che mi ricordava il polso di un signore in arresto cardiaco su cui tentai le procedure di CPR tempo fa. Infine si è fermato: l’effetto del curaro sulle placche neuro-muscolari è rapido e senza scampo. All’arresto cardiaco è seguito un arresto respiratorio, ho sentito chiaramente l’ultimo movimento del diafframma e l’aria che abbandonava i polmoni. A questo è seguito nel giro di pochi minuti la morte cerebrale per ipossia.
Sono conscio del peso di una simile decisione: Cesare non mi ha chiesto di morire, non me l’ha fatto capire. Cesare non parlava italiano, francese o inglese, le tre lingue che intendo. Le sue forme mentali erano differenti dalle mie. Ciò nonostante ho scelto di togliergli la vita. Penso di aver fatto bene ma l’unico soggetto in grado di confermarlo non lo può fare.
Cesare è stato colui con cui, negli ultimi quindici anni, ho passato in assoluto più tempo. È stato colui che, per i lunghi anni in cui abbiamo vissuto sotto lo stesso tetto, veniva tutte le sere farmi le fusa, a prescindere dagli orari in cui mi coricavo (e per un certo periodo ho avuto orari piuttosto assurdi). È stato colui che, dopo il caffè e la sigaretta post prandiale, veniva ad accocolarsi su di me mentre mi guardavo i Simpson o Futurama.
Quando ero fuori per 12 e più ore per un lavoro che detestavo fino alla mia più intima fibra, mentre tornavo con un treno perennemente in ritardo verso casa, pensavo spesso al fatto che, per malvagia che fosse stata la giornata, mi sarei goduto un bel po’ di fusa una volta arrivato a casa.
Durante le lunghe ore delle riunioni di redazione di Umanità Nova stava spesso accoccolato sulla mia persona. O seduto di fianco alla tastiera a guardarmi. Più volte i suoi “ron ron” si sono sentiti a centinaia di chilometri di distanza, catturati dal mio microfono, campionati dalla scheda audio e trasmessi via TCP/IP ad altri redattori.
Non conto le volte che ho dovuto interrompere le visioni di film o le letture di libri perchè decideva che era il momento di farsi coccolare. Un paio di volte l’ha fatto anche mentre facevo addominali a terra e in un’occasione aveva deciso che la mia gamba che si muoveva nel movimento ritmico delle trazioni alla sbarra era un gioco estremamente divertente. Ha distrutto svariate paia di pantofole di mio padre. Morso in più occasioni mia madre perchè non lo stava considerando abbastanza. Predato svariati rotoli di carta igienica. Fatto saltare le piume della coda di un piccione che ebbe la peregrina idea di provare a nidificare sul suo balcone.
Morso un poliziotto, che così questo imparava a farsi gli affari suoi[1].
Quasi tutti gli articoli che ho scritto su questo blog e su Umanità Nova sono stati scritti con lui di fianco. Anche se non ho messo il canonico F.D.C. Willard come co-autore (avrei dovuto), lo è stato.
La coscienza antispecista che ho maturato nel corso degli anni è maturata grazie al rapporto con lui.
È stato uno dei miei migliori amici, è stato parte della mia vita. Lo sarà finchè avrò facoltà di ragionare.
Voglio qua ringraziare chi mi è stato vicino in questi giorni, chi fisicamente, chi con messaggi. Voglio ringraziare anche la veterinaria che ci ha seguito in questi mesi, la sua empatia è stata maggiore di quella di certi medici che ho conosciuto.
Addio Cesare, ti ho amato come un amico, sei stato mio compagno e sempre lo sarai.
[1] Ottobre 2011, dei tizi mi suonano alla porta di casa. Apro: sono due tizi con giacca e cravatta con cartellini di azienda che simula il logo della Gazprom e che provano a vendermi un contratto del gas (perchè la Gazprom manda direttamente i commerciali dai privati con utenza domestica, è risaputo). Li invito, abbastanza gentilmente, ad andare a raccontare frottole altrove. Questi cominciano a fare gli arroganti. Io gli mostro che posso essere molto più arrogante di loro, e, per evitare la giusta punizione per la loro empietà, scappano per le scale. Riprendo a farmi i cazzi miei, apro la finestra per fumarmi una sigaretta e vedo i due tizi sostare sotto casa. Questi cominciano ad insultarmi e io rispondo. Dopo poco arriva una volante: viene fuori che questi due stronzi hanno l’abitudine non solo di provare a truffare la gente ma pure di provare ad attaccare rissa per poi fare la parte degli aggrediti. Tipo era la terza volta in una settimana che succedeva. I tizi spiegano a due irritati (con loro) poliziotti che io li avrei proditoriamente aggrediti. I poliziotti annuiscono e li invitano ad andarsene altrove, mi chiedono i documenti e mi salgono in casa. Il poliziotto più giovane vede Cesare su una poltrona e prova a toccargli la testa. Viene immediamente rimesso al suo posto da una meritata mozzicata. Si lamenta con il collega più anziano che lo guarda come se parlasse con un bambino scemo e gli fa “certo che ti ha morso, è un gatto, che ti aspettavi che facesse?”. Io mi chiedo se le barzellette sui carabinieri in realtà non dovrebbero essere sui poliziotti. Pigliano la mia versione (“i tizi hanno fatto gli arroganti e io gli ho detto di andarsene e poi non è successo niente, no non li ho minacciati con un bastone, no, non ho intenzione di adire per vie legali, si, sono ben conscio che avrei la possibilità di farlo, arrivederci e buone cose”). Io vado alla coop e prendo le due scatolette più costose e di qualità che trovo e le porto a Cesare. Lui è contento, io sono contento.