Due parole prendendo spunto dai fatti di Voghera

Messe giù così, a punti, che non ho voglia di scrivere un articolo vero:

– quando si parla di difesa personale si dovrebbe tenere ben presente il principio di proporzionalità. Chi, negli anni, ha attraversato non da fruitore passivo spazi autogestiti e simili ha sicuramente dovuto gestire gente molesta, come pare che l’uomo ucciso fosse. Il più delle volte la faccenda si risolve parlando in modo pacato ma mostrandosi decisi. In qualche altra occasione si risolve con una comoda chiave articolare ben eseguita e un calcio in culo. Quando si può si agisce in modo collettivo e senza fare i cazzoduristi. Raramente si finisce per dover fare _veramente_ male a qualcuno. Qualche volta succede e amen, non è una tragedia.

– si tiene a mente che una persona che in quel momento è molesta non è una specie di subumano da eliminare. E’ una persona che in quel momento può rappresentare un pericolo e che va contenuta e/o allontanata. Il punto non è purificare il mondo da soggetti “immorali”, il punto costruire un modo sicuro di stare insieme. In alcuni casi è una persona che sta peggio della media delle persone che mi leggono. In alcuni casi è, per farla breve, uno stronzo. In molti casi un mix di ambo le cose. In ogni caso non è un mostro venuto dall’oltrespazio ma un prodotto del nostro mondo.

– lo stare insieme in modo sicuro si costruisce insieme e non facendo i supermacho. Io posso essere uno spaccaossa professionista e scaricare con precisione un bifilare da 15 colpi nel 10 di un bersaglio in movimento ma da solo potrò ben poco. La sicurezza emerge dalle relazioni che ho con il prossimo. Se le relazioni non saranno quelle di una società gerarchica, basata sullo sfruttamento e sull’oppressione ma quelle di una società di liberi e uguali è più difficile che mi ritrovi nella situazioni di dovermi difendere e, contemporaneamente, è molto più facile che mi possa difendere con efficacia.

– l’efficacia della difesa non dipende dall’intervento di una sfera separata a cui si delega la violenza ma dalla propria capacità di saper usare e gestire, individualmente e collettivamente la violenza. Dalla capacità di combattere e dalla capacità di individuare le cause ultime della violenza e di concentrarsi su di queste. La violenza esiste e o ce ne occupiamo noi o lei si occuperà di noi.

– il sapersi difendere è un primo luogo una capacità di gestione dello spazio. Di percezione dell’ambiente e di percezione del proprio corpo in rapporto con l’ambiente. Puoi anche avere una glock subcompatta in porto occulto pronta all’uso ma se vaghi guardando il cellulare niente ti impedirà nè di prendere il proverbiale (e meritato) palo in faccia nè il cartone sul naso da uno che vuole il tuo cellulare. Saper correre i cento metri senza andare in crisi respiratoria è altresì un’ottimo mezzo di autotutela. Ecco, quando uno sa fare queste due cose, correre i cento metri e percepire l’ambiente intorno, può iniziare a ragionare di tirare manate sulla trachea altrui o di usare uno strumento che lo faciliti (da botta, da taglio o a fuoco che sia). Se poi sei nella condizione di _dover_ usare quello strumento, bhe, usalo. E’ estremamente difficile che succeda ma può succedere, checchè ne dica quella sfilza di pretini che vivono nel mondo dei puffi pratolini o il segretario del PD che fa il cosplay del suo più famoso equivalente statunitense. Scrivevamo un paio di anni fa:”[…]L’hoplofobia dell’ala sinistra del capitale è tutta già scritta nella sua storia, ovvero nella storia della sua falsa coscienza e del suo opportunismo, allo stesso modo in cui la voglia del piccolo borghese di farsi giustiziere della notte è scritta nella sua parabola discendente di ridicola figura messa in crisi non da immaginari banditi ma dalla ferrea logica del capitale.”

– in secondo luogo il sapersi difendere sta nell’evitare che le situazioni si presentino e nel saper gestirle in direzione di soluzione di lungo termine (esempio stupido: bravo, hai spaccato il braccio al tizio che ha provato a rubarti il cellulare. Dopo un mese il suo braccio è tornato usabile e lui decide di aspettarti sotto casa e piantarti un cacciavite nella pancia mentre apri la porta). Quindi o ti metti a sciogliere nell’acido tutti quelli che possono rappresentare un pericolo a lungo termine o impari a trovare delle soluzioni complesse a un problema solo apparentemente semplice. Per farlo, come detto prima, devi passare da un piano collettivo. Un ambiente, sociale e fisico, sicuro è la prima forma di tutela.

– stando più sull’attualità è evidente che la faccenda abbia a che fare dal modo in cui la società in cui viviamo gestisce le stesse persone che spinge ai margini. Il signore ammazzato viveva nel fantastico incrocio dell’oppressione da soggetto razzializzato, espulso dal processo produttivo, alcoolizzato. Disadattato. Da mettere in quei depositi di umanità di eccesso che sono galere e cpr. Non per processo penale ma per processo amministrativo. Aveva degli atteggiamenti molesti? Da quanto sappiamo si. Ma non è questo il punto. Il punto è che era considerato indecoroso. Se è il figlio del commercialista Tal dei Tali che va in giro a molestare il prossimo dopo essersi pippato l’Everest non gli tiri con la pistola. Perchè “boys will be boys” e al più gli tiri un ceffone (scusandoti, poi, con il Signor Padre). Se è Youns El Boussetaoui a essere ubriaco e a rompere i coglioni è invece giusto tirargli anche se lo si poteva gestire in modo meno violento. 50 anni fa si sarebbe chiamato Ciriaco Saldutto o Barabèl. Più a sud si chiamerebbe Davide Bifolco. Lui è indecoroso, il figlio del commercialista è un ragazzo che vuole divertirsi e esagera un po’. A Youns El Boussetaoui la seconda chanche (ma manco la prima) non è concessa.
Infatti chi gioisce del suo omicidio lo fa perchè se muore uno così c’è da festeggiare al prescindere dal pericolo effettivo che rappresentava. A quelli che festeggiano non interessa vivere più sicuri: interessa pisciare in testa agli ultimi sfigati. Molto probabilmente sono gli stessi che, non nella responsabilità individuale ma nella propria funzione sociale, l’hanno spinto in quello stato. E i loro servi. Chi lo ha ucciso, riportano le cronache, era noto per andare in giro a molestare gli indecorosi nel nome del decoro. Una fantastica storia di provincia.

Nota tecnica, o del perchè sentire parlare di colpi accidentali nel 2021 mi fa ridere

Lo scrivente è un tizio che per ragioni varie sa utilizzare circa decentemente (sono modesto e sono pure fuori esercizio causa lockdonw vari) le armi da fuoco moderne. Le moderne armi progettate per l’uso operativo (leggi: da difesa) sono dotate di sicure ridondate, che rendono impossibile che parta un colpo accidentale tanto che l’israelian/empty chamber carry è diventato obsoleto e non viene più insegnato, se uno rispetta una regola fondamentale: tenere il dito fuori dalla guardia se non quando si _vuole_ sparare. Se non avete mai tenuto una pistola in mano può sembrare una cosa macchinosa ma posso assicurarvi che non lo è. Se dichiari che ti è partito un colpo accidentale ci sono tre possibilità: a) stai mentendo b) hai scelto l’arma sbagliata (tipo un’arma da tiro accademico con scatto allegerito, di quelle che le guardi troppo intensamente e sparano) c) sei così coglione da tenere il dito dentro la guardia, fottendotene di una delle quattro (4, eh, mica, 400) regole fondamentali nel tenere in mano un’arma da fuoco. Nel primo caso sei un omicida. Nel secondo o hai avuto sfiga (ma di quelle rare: vieni aggredito mentre partecipi alla gara di tiro regionale al poligono) o sei un fesso. Nel terzo caso sei di una negligenza criminale.

Informazioni su lorcon

Mediattivista, laureato in storia contemporanea con attitudine geek, nasce nel sabaudo capoluogo (cosa che rivendica spesso e volentieri) e vive tra Torino e la bassa emiliana. Spesso si diletta con la macchina fotografica, lavora come tecnico IT, scrive sul suo blog e su Umanità Nova.
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