Questa intervista apparirà sul numero 9 anno 99 di Umanità Nova
Presentiamo di seguito l’intervista/discussione avuta con un compagno del collettivo Bida, un collettivo bolognese che si occupa di tecnologie dell’informazione in un’ottica anarchica e libertaria, con l’intento di fornire strumenti alla portata di tutti per uscire dalla gabbia che il capitale ha creato intorno a questi strumenti, imbrigliando il portato rivoluzionario di queste tecnologie. Da quasi un anno il collettivo Bida gestisce, tra i vari servizi, un’istanza di Mastodon, un social network, simile a Twitter più che a Facebook, decentrato, basato sulla federazione di istanze autonome e autogestito. Il progetto è accessibile all’indirizzo mastodon.bida.im
Domanda: Per prima cosa: cosa è Mastodon, come funziona e come è nato il vostro progetto.
Mastodon è un software nato da uno sviluppatore tedesco, Eugen “Gargon” Rochko, che si era stancato delle dinamiche abusive, cioè la presenza di omofobi, razzisti e fascistoidi, che si erano sviluppate su Twitter. È un software che ha avuto piuttosto successo, circa due milioni di utenti in due anni dalla nascita; una delle caratteristiche principali è che da questo software è nata una comunità che si basa su una policy, una serie di regole di utilizzo antirazzista, antisessita e antifascista.
Abbiamo iniziato a ragionare su questo software partendo da questo motivo, noi facciamo parte, come collettivo Bida, del circolo anarchico “C. Beneri” di Bologna. Siamo nati come gruppo di lavoro che si occupava del server del circolo, abbiamo aiutato a crescere il circuito Rebal. Circa due anni fa, abbiamo iniziato a fare una serie di ragionamenti sui social network. Quello che vedevamo era che il movimento nella sua totalità, molti compagni e simpatizzanti, spingevano per l’utilizzo di social network commerciali, come Facebook. Sono discussioni che si sono avute sia nella mailing list del’Hackmeeting sia dentro il Circolo Berneri che dentro l’XM24; da queste discussioni sono nati laboratori specifici e presentazioni di libri, come quello di Ippolita. Abbiamo cominciato a discutere, sia come collettivo Bida che come HacklabBO, l’hacklab presente in XM24, di possibili soluzioni e abbiamo individuato l’utilizzo del software Mastodon come una buona soluzione.
Questa piattaforma ci è sembrata la migliore soluzione tra i vari software disponibili per creare social network non commerciali, grazie alla comunità che si è formata sull’istanza principale, creata direttamente da Gargon.
A partire da quell’istanza, che è mastodon.social, sono nate molte istanze legate ai movimenti, in particolare a quelli LGBT e Queer. Abbiamo quindi deciso di creare anche noi un’istanza Mastodon qua a Bologna.
Domanda: Parliamo quindi di un progetto che funziona per istanze autonome, autogestite. Non è un social network classico, come Twitter o Facebook, dove invece tutto è centralizzato su dei server gestiti da un unico attore, commerciale, e in cui l’utenza non ha praticamente nessun potere – pensiamo, ad esempio, alla nuova policy calata dall’alto su Tumblr che ha fatto fuggire via migliaia di account legati al mondo LGBTQ – ma una federazione di istanze indipendenti tra di loro che decidono di condividere un progetto.
Ogni utente si iscrive a un’istanza e ogni istanza ha una sua policy, ha un suo manifesto, che fornisce delle linee su come stare in quell’istanza. Noi ci siamo ispirati molto alla policy di Indymedia Italia, adattandola a ciò che sono adesso i social network. È una policy che abbiamo visto che funzionava e funziona, una policy ragionata che si adatta anche ai tempi di oggi. Nel giro di un anno l’abbiamo testata e abbiamo visto che noi che amministriamo l’istanza bolognese con questa policy riusciamo tranquillamente a gestire le problematiche che in una qualsiasi comunità virtuale si vanno a creare. Una policy che permette di individuare fin da subito comportamenti inaccettabili da parte di razzisti, sessisti, molestatori in genere, ben strutturata e che permette di avere una vita abbastanza tranquilla dentro una comunità virtuale.
Il software, inoltre, in sé è molto stabile, sopratutto rispetto a software che volevano essere un’alternativa a facebook come diaspora. Noi come tecnici abbiamo visto che permette di gestire bene la comunità, permette di ricevere facilmente delle segnalazioni e avviare delle discussioni per risolvere le situazioni e attuare una descalation.
Domanda: Sui Social Network vi è un fortissimo accentramento di potere, dato dalla struttura capitalista degli stessi e al fatto che rispondono all’esigenza di mettere a valore l’esperienza su Internet delle persone. Progetti come Mastodon invece vanno in una direzione diametralmente opposta, tendono alla costruzione di percorsi federati, in cui ogni nodo, o istanza, è dotato di un’autonomia, è gestito dalla sua comunità. Esistono progetti per nuove istanze?
Da pochi giorni è nata l’istanza mastodon.cisti.org gestita dall’hacklab underscore di Torino. A Milano e Napoli ne stanno discutendo, a Jesi è nata un’altra istanza che utilizza però Pleroma (snapj.saja.freemyip.com), un’altra piattaforma di Social Network federati, e non Mastodon: c’è un certo interesse in giro. Nnoi speriamo che a breve nascano altre istanze, dislocate sui territorio, vere e proprie comunità locali. È un progetto questo che ha senso se nascono molte istanze, dislocate localmente. Noi come Collettivo Bida non vogliamo diventare un Facebook all’italiana, essere cioè il nodo centrale.
Domanda: il protocollo di comunicazione stesso alla base della federazione tra diverse istanze permette collegamento tra vari software, che forniscono servizi differenziati, dando la possibilità di uscire dalla gabbia del “capitalismo delle piattaforme”, in cui invece degli attori in regime oligopolistico tentano di gestire l’intera vita online degli individui.
Noi stiamo parlando di Mastodon ma dovremmo, in effetti, parlare di ActivityPub, un protocollo che è usato anche da altri software come Pleroma, un social network simile a Mastodon, o da PeerTube, un software per piattaforme video federate o, ancora, Funkwhale, una piattaforma per la fruizione di contenuti musicali - che ricorda Spotify - ovviamente non commerciale. Il protocollo lo si può anche integrare in piattaforme come NextCloud, una piattaforma di data clouding che permette di non usare servizi commerciali come DropBox.
Si può creare una rete comune per potere avviare discussioni, integrando, tramite questo protocollo, software che svolgono diverse funzioni e di integrarli in modo federato, non gerarchico.
Domanda: Rispetto a un progetto come Indymedia, parlo di questo in quanto è il progetto che ho attraversato anche io per anni, che si concentrava sulla pubblicazione di notizie, Mastodon e le altre piattaforme basate su ActivityPub permettono di coinvolgere la sfera della vita multimediale di una persona online in modo molto più integrale
Una piccola premessa: noi quando abbiamo iniziato come collettivo avevamo l’idea di creare una sorta di Social Network legato all’informazione, molto vicino a Indymedia. Poi compagn*, ma anche “persone normali”, hanno cominciato a iscriversi e dagli utenti stessi è emersa l’esigenza di usare il Social Network non solo per informazione, ma anche per pubblicare foto proprie, vendere la bicicletta, quindi di una piattaforma non legata esclusivamente all’informazione ma utilizzabile a 360 gradi. A quel punto noi come collettivo, un collettivo libertario, ci siamo resi conto che le esigenze erano altre rispetto a quelle a cui avevamo pensato inizialmente. C’è stato uno scambio di idee tra tecnici e non tecnici, ci siamo adattati alle esigenze di chi si era iscritto, andando a modificare quelli che erano stati gli intenti iniziali del Social Network. Non siamo andati a imporre la nostra visione ma abbiamo interpretato in modo dialettico il rapporto con gli utenti.
Domanda: Questo è un dato molto interessante che mostra come si possa uscire dalla gabbia della commercializzazione di internet che abbiamo visto, e subito, negli ultimi dieci anni, evitando modalità verticistiche. Bisognerebbe però anche cominciare a interrogarci sul creare progetti che permettano di uscire, oltre che dalle dinamiche dei social network commerciali, anche dalle gabbie imposte dalla gestione delle infrastrutture di accesso a Internet, che è gestita da attori completamente integrati nella struttura capitalista e statale, con tutto quello che ne consegue: banalmente la possibilità, per gli stati, di spegnere letteralmente Internet quando sono in corso mobilitazioni, o veri e propri moti insurrezionali, come è accaduto durante le Primavere Arabe, ma anche in Iran e a Hong Kong, o ancora come è successo poche settimane fa in Zimbawe. Progetti come Mastodon agiscono sul livello applicativo, possiamo dire, su quello che l’utente vede e usa, il sito web o il servizio, ma giocoforza lasciano da parte tutto quello che c’è dentro la “scatola nera” che per molti è Internet.
Questo è un dato molto interessante su cui bisogna lavorare. Per quanto ci riguarda come collettivo, ma anche come circolo, stiamo ragionando sulla creazione di infrastrutture della parte più bassa del livello ISO/OSI[1], quella che gestisce l’accesso fisico alla rete e il modo in cui i pacchetti di dati girano su di essa; supportiamo il progetto Ninux e qua al circolo abbiamo un’antenna e stiamo cercando di creare una rete mesh, ma è un progetto che per funzionare ha la necessità di vedere coinvolte più persone, o collettivi, per creare i nodi della rete. Ad esempio l’altro nodo della rete Ninux presente a Bologna è geograficamente troppo distante per delle reti che si basano su ponti radio in portata ottica.
Domanda: Una serie di progetti che possono permettere anche all’utente non particolarmente esperto da un punto di vista tecnico di utilizzare strumenti autogestiti e il più possibile fuori dalle logiche commerciali. Uscire quindi dalla prigionia delle piattaforme commerciali, spesso legati anche a strutture statali, penso a Facebook o, ancora peggio, a WeChat in Cina, probabilmente il progetto totalitario di più vasta portata dalla nascita di Internet a oggi.
Ovviamente noi come collettivo ci teniamo a dire che siamo fuori dall’idea “Read The Fucking Manual” - o RTFM, ovvero “leggi il fottuto manuale”, modo di dire in modo spiccio per “arrangiati a imparare come funzionano gli strumenti che usi, che non ci sarà sempre il tecnico a farti funzionare il computer” - spesso molto cara a noi tecnici, quindi vogliamo che gli strumenti siano il più accessibili possibile. Ovviamente il discorso della “consapevolezza tecnologica”, della capacità di autocostruzione, del Do It Yourself, rimangono importanti ma bisogna pure capire che se io voglio guidare un’automobile non devo essere per forza un meccanico. Non possiamo costringere le persone, per avere la “dignità politica” ad utilizzare uno strumento, a leggersi pagine e pagine di manuali. Bisogna creare di punti di incontro, altrimenti alla ricerca dello strumento perfetto si cade nell’immobilismo. Mastodon, e tutti i nostri progetti, non sono degli strumenti perfetti.
Non sono gli strumenti per fare la rivoluzione, non si può pensare di fare la rivoluzione con i mezzi tecnici e basta, ma sono strumenti che sono semplici da cui partire per avviare una critica. Altrimenti si lasciano praterie infinite a Facebook e similari, cosa che non aiuta. È bene tentare, prima di tutto, di appropriarsi degli strumenti e criticarli, capire le problematiche, cambiarli. Siamo sviluppatori, programmatori, tecnici, se qualcosa in uno strumento non ci piace lo modifichiamo per venire in contro alle esigenze della comunità che lo usa.
La forza di un sistema decentrato è proprio questa. Ogni istanza può modificare lo strumento pur rimanendo all’interno dell’universo di Mastodon, se ad esempio alla comunità di un’istanza non piace un particolare strumento del software lo può disattivare, o ne può inventare altri da integrare nel codice.
lorcon
[1] la “pila ISO/OSI” è la rappresentazione multilivello di come vengono realizzate le connessioni tra apparati di rete. Ad esempio, semplificando al massimo, una pagina web, qualsiasi pagina web, è visibile all’utente a livello di applicazione - quello che vede sullo schermo – ma i dati che la compongono passano dal livello fisico (cavi, onde radio, modi in cui vengono modulati i segnali), al livello di datalink (come vengono scambiati i segnali), networking (indirizzamento dei pacchetti), trasporto (segmentazione e riassemblamento dei pacchetti), sessione (la gestione dello scambio di dati) e presentazione (compressione e decompressione dei dati, crittazione). Il processo avviene in direzione ascendente e discendente per ogni apparato che viene attraversato dai dati. I primi tre livelli sono gestiti dai provider in modo oligopolistico ma sono fondamentali per il funzionamento dell’intera struttura.
Per approfondire questi temi sempre su Umanità Nova abbiamo pubblicato: http://www.umanitanova.org/2018/11/18/anatomia-di-unintelligenza-artificiale/ e http://www.umanitanova.org/2016/10/22/gli-arcana-imperii-delleconomia-dellinformazione/