PREMESSA: In anteprima il mio pezzo che apparirà sul numero 33 anno 93 di Umanità Nova. Il pezzo, scritto di getto qualche giorno fa mentre ero in preda al demone della polemica, nasce dall’esigenza di analizzare da un punto di vista materialista, di classe e antiautoritario i motivi che hanno portato ad un aumento spropositato dell’uso della violenza da parte della polizia statunitense e al suo dotarsi di mezzi militari degni di un esercito. L’articolo vuole anche essere una critica a quel non-pensiero moralista, ignorante e bigotto, tipico della sinistra italiota in merito alla questione della violenza negli USA. Ogni volta che succede un fatto di sangue dobbiamo subirci le minchiate dei vari Zucconi su quanto siano brutte e cattive le armi e quanto sia immorale la violenza. E queste stupende pensate del think-tank de la Repubblica altro non sono che pensate funzionali al mantenimento dello stato delle cose.
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GENEALOGIA DELLA VIOLENZA POLIZIESCA
Negli ultimi decenni negli Stati Uniti abbiamo potuto assistere ad un fortissimo incremento delle violenze da parte della polizia sia verso “comuni cittadini” che verso “presunti criminali”. Violenze puntualmente nascoste sotto la coperta dai media italioti, che preferiscono affrontare in modo superficiale e facilone certi aspetti della cultura statunitense.
L’ultimo caso balzato all’onore delle cronache, con una lieve risonanza sui giornali italiani, risale al 23 ottobre: due poliziotti di pattuglia a Santa Rosa (California) hanno freddato con sette colpi di pistola un ragazzino tredicenne, Andy Lopez, che girava con un’arma giocattolo[1]. Al momento non è ben chiara la dinamica dei fatti, i poliziotti sostengono che l’assassinato abbia puntato il simulacro di arma verso di loro, ma è evidente uno sproporzionato uso della forza: qualsiasi persona capisce che per fermare un ragazzino, anche realmente armato, non è necessario svuotargli addosso mezzo caricatore di proiettili Full Metal Jacket nove millimetri. Le cronaca statunitensi degli ultimi anni sono piene di fatti simili, in molti casi ancora più paradossali: solo negli scorsi mesi abbiamo potuto leggere di parlatici ammazzati dalla polizia perchè resistevano a sfratti, famiglie intere torturate a colpi di Taser (uno storditore elettrico inizialmente classificato come non-letale e ora riclassificato come semi-letale), disabili in carrozzella ammazzati perchè “sembrava che avessero un coltello in mano”, ragazzi uccisi in casa durante raid anti-droga, generalmente basati su delazioni anonime, condotti con squadre tattiche (SWAT) alla ricerca di due piante di marjuana [2]. Per non parlare della lunga sequela di torture e abusi, anche sessuali, nei carceri, per minori e no. O delle violenze, che fanno molto meno notizia, perchè le vittime sono generalmente criminali comuni di bassissima estrazione sociale, che avvengono nei ghetti delle grandi città e nelle centrali di polizia.
I singoli stati e il governo federale si stanno svelando per quello che sono: spietati killer seriali.
A parere di chi scrive questi temi non si possono affrontare con piglio moralistico o con la malsana idea delle singole mele marce nella polizia. È necessaria un’operazione che ricostruisca genealogicamente i meccanismi sociali dietro a questi epifenomeni.
L’aumento della militarizzazione della società statunitense è da ricercarsi nelle politiche economiche e sociali portate avanti negli ultimi 40 anni. Con Nixon partì la War on Drugs, la politica di inasprimento delle pene per reati legati a detenzione, consumo, produzione e spaccio di stupefacenti. Politica che portò all’aumento esponenziale della popolazione carceraria, senza far diminuire la diffusione di droghe, sopratutto pesanti. Questa politica venne successivamente rafforzata da Reagan, di pari passo con l’imposizione dell’ordine neo-liberista: dalla guerra alla povertà si passa alla guerra ai poveri. Lo smantellamento di tutti i baluardi del welfare state statunitense, fino agli anni ’70 difeso sia da Democratici che da Repubblicani, la distruzione della sanità pubblica a favore di quella privata (e della finanziarizzazione della assicurazioni mediche), la diminuzione dei salari minimi, la completa distruzione delle organizzazioni dei lavoratori, la gestione della città con la creazione di centri urbani iper-blindati, come la down-town losangelina, la ghettizzazione dei poveri[3], la diminuzione delle case popolari, la suburbanizzazione del ceto medio, hanno portato ad uno sfarinamento del tessuto sociale delle comunità o alla sua cattura all’interno di dinamiche di stampo speculativo e corporativo.
Tutto questo è dovuto passare, giocoforza, per la creazione di rapporti di forza in grado di supportare l’ordine neo-liberista. E i rapporti di forza sono anche di natura militare: ecco una delle cause di un corpi di polizia ipertrofici e iper-armati. Altra causa si deve ricercare, a mio parere, nel famoso apparato industriale-militare statunitense. La vera lobby delle armi non è quella di chi supporta il diritto costituzionale di formare milizie popolari armate e detenere e portare armi ma quella che fornisce un quantitativo enorme di tecnologie militari a governo federale e governi statali. E e non parliamo solo di armi leggere ma di armamenti pesanti e della tecnologia logistica necessaria a gestire forze armate: si consideri la sproporzione tra unità combattenti e addetti alla logistica, squilibrata verso le seconde; per non parlare del settore del military hi-tech, cuore pulsante della concezione bellica contemporanea di degli USA[4]. Questo complesso militare-industriale prospera grazie alla diffusione di guerre, interne ed esterne, di dispositivi carcerari, di militarizzazione dello spazio urbano. La gallina delle uova d’oro degli ultimi dieci anni è stata costituita dalle così dette armi non-letali, poi riclassificate in semi-letali; un poliziotto odierno negli USA è armato di: pistola, taser, spray OC, manganello o tonfa. Un armamento ridondante, per non parlare di tutta la pletora di istruttori, generalmente liberi professionisti, per un singolo uomo e che costa migliaia di dollari per singolo agente alle casse pubbliche. Soldi che vanno a rimpinguare i conti delle varie aziende fornitrici. Inoltre anche le più sperdute contee rurali si stanno dotando di forze tattiche, le squadre SWAT, dotate di armamento pesante. E ultimamente di mezzi blindati: il progressivo ritiro dai teatri di guerra afghani e irakeni ha prodotto un surplus di mezzi blindati per trasporto truppe, sovente armati (APC), che i dipartimenti di polizia e gli sceriffi si stanno affrettando a comprare[5]. Quale incredibili minacce debbano affrontare nelle zone rurali della Virginia non è dato a sapersi, ma intanto altre consistenti fette della spesa pubblica finiscono nelle casse private (al di là del costo del mezzo, che va alle casse federali, bisogna calcolare istruzione dell’equipaggio e manutenzione).
Altro passaggio fondamentale nella militarizzazione della società USA è stato dettato dall’infame Patrioct Act fortemente voluto da una maggioranza trasversale durante la presidenza di Bush II (per inciso: avete mai notato come nella politica statunitense il potere sia familiare? Kennedy, Bush, Clinton…) che ha fatto stracci di decenni di conquiste in campo di “diritti civili” permettendo internamenti a tempo indefinito senza processo, torture, spionaggio senza mandato o con mandato segretato. Queste politiche sono state riprese dall’attuale presidente Obama, come ben dimostra il caso PRISM, che, alla faccia delle promesse fatte durante due campagne elettorali, ha in inasprito la stretta autoritaria sulla società. A parere di chi scrive anche la proposta di parte democratica di ulteriori restrizioni sul diritto di possedere e portare armi va inserito in questo contesto, inoltre svolge la funzione di eccellente specchietto per “allodole liberal”.
La riforma della sanità, la così detta Obamacare, è stata una cura palliativa ed attualmente bloccata nella sua fase attuativa. Nei fatti a decine di milioni di residenti sul suolo statunitense è proibito l’accesso ad una sanità decente, con evidente guadagno delle assicurazioni e della sanità privata (generalmente facenti parti degli stessi gruppi di affaristi).
Tornando al punto della violenza poliziesca è evidente che la presenza di uno stato, che per definizione avoca a se’ il monopolio della violenza, che punta tutto sulla militarizzazione della società crea quelle che, in ambito militare, sono definibili “danni collaterali”. Il ragazzino, il disabile, il piccolo coltivatore di marjuana, sono le vittime collaterali della più ampia guerra condotta dallo stato contro non solo i poveri e gli esclusi ma contro i lavoratori in generale. Perchè non dimentichiamoci che il capitale e lo stato giocano in fase di attacco nel tentativo di disciplinare maggiormente la forza lavoro per aumentare il saggio di profitto.
La violenza poliziesca, negli USA come in Grecia o in Italia, si potrà eliminare solo con l’eliminazione delle cause ultime della sua riproduzione, ovvero le strutture gerarchiche.
La critica morale alla violenza, tanto cara ai commentatori italiani presenti negli USA, Zucconi[6] in testa, non porta assolutamente a niente. Sviscerare, anatomizzare, studiare e comprendere le dinamiche sociali è più che mai necessario in questi tempi. La sinistra istituzionale statunitense schierandosi totalmente a favore del neoliberismo ha letteralmente svenduto gli interessi del proletariato e del sottoproletariato urbano e rurale, che si è gradualmente avvicinato a quella oscena schiera di malfattori ultraconservatori, cristiani o laici, primi garanti, e spesso diretti gestori, della miseria e dell’alienazione di decine di milioni di individui. Altra chiave del successo di costoro è che con gli sfruttati condividono lo stesso linguaggio, mentre la sinistra si è persa nei voli pindarici del politically correct, genericamente bollato come insieme “stronzate da liberals” dalla working class (per inciso: i contenuti dei dibattiti della “sinistra” americana spesso sono stronzate da liberals). La scomparsa di forti movimenti di base, la famosa New Left degli anni ’60, generalmente libertaria, falcidiati dalla repressione, la conversione della già orrida sinistra istituzionale in garante del neoliberismo, l’onnipresente spirito dell’etica del lavoro protestante hanno letteralmente maciullato le condizioni di vita di milioni di persone [7].
Ampio può essere il terreno per l’intervento anarchico in queste situazioni. Ammesso che l’anarchismo americano riesca a liberarsi dalle visioni ultra minoritarie dell’anarchist-lifestyle già denunciato da Boockin. Con tutte le sue contraddizioni la diffusione di movimenti di stampo libertario come i vari Occupy e la ripresa, sia quantitativa che qualitativa, del sindacalismo radicale dell’IWW, che è stato capace di infilarsi nel settore dei “non garantiti”, lavoratori di Fast-Food e imprese di pulizia in testa, la ripresa di lotte ecologiche condotte da comunità locali con metodologie libertarie fanno ben sperare.
lorcon
note:
[1] http://tinyurl.com/policekills
[2] per un aggiornato elenco: http://www.policestateusa.com/
[3] per una disanima del rapporto tra militarizzazione degli spazi urbani statunitensi e povertà, nello specifico del caso losangelino: Mike Davis, Città di Quarzo, Manifesto Libri, 2008
[4] per una veloce introduzione alla concezione di guerra contemporanea statunitense e alla dottrina RMA: Alessandro dal Lago, Le nostre guerre, Manifesto Libri, 2010 e Carlo Jean, Rivoluzione Negli Affari Militari, Società Italiana di Storia Militare, 2013 (disponibile gratuitamente su scribd)
[5] http://tinyurl.com/policeapc
[6]Noto per i suoi articoli sul fenomeno della violenza che sembrano scritti da un serbatoio di melassa. Speriamo che non faccia come un famoso serbatoio di melassa a Boston, nel 1919.
[7] Si legga a tal proposito l’esemplare: Joe Bageant, La Bibbia e il fucile, cronaca dall’America profonda, Bruno Mondadori, 2010