Il seguente articolo è in uscita sul numero 25 di Umanità Nova, settimanale anarchico.
Sono state settimane convulse in Egitto, con il presidente della repubblica Morsi, esponente di spicco della Fratellanza Musulmana, deposto dall’esercito in seguito a gigantesche mobilitazioni che hanno visto milioni di persone scendere in piazza in tutto il paese e violentissimi scontri con la polizia e i sostenitori della Fratellanza.
Le mobilitazioni contro il governo islamista, nominalmente moderato ma sostenuto fino agli ultimi giorni anche dai gruppi islamisti più oltranzisti, duravano oramai da mesi e si erano poste come sostanziale proseguimento delle proteste del 2011 che portarono alla caduta del trentennale governo di Mubarak e che avevano innescato il processo tuttora in corso. Ma, pur avendo mantenuto un carattere di massa per tutto il tempo, solo nell’ultimo mese sono riuscite a coinvolgere attivamente una quantità enorme di persone, anche al di fuori dei grandi centri urbani del Cairo, Alessandria, e Porto Said, provocando un’accelerazione dei processi politici che hanno poi portato alla destituzione di Morsi da parte dell’esercito. Accelerazione dovuta sia a quello che è stato evidentemente un “buon lavoro politico” da parte di chi nell’ultimo anno ha continuato ad animare piazza Tahir e gli altri centri nevralgici della contestazione sia alla crescente delusione in cui sono incorsi molti di coloro che avevano votato Morsi, accattivati dal suo volto di islamista moderato e pragmatico. Delusione che ha delle precise basi materiali: il tasso di inflazione ha ripreso a salire, con una previsione di crescita del 8,5% per l’anno corrente, a fronte del 7,1% del 2012, anche se rimane lontano il tragico aumento del 18% del 2008, dovuto alle speculazioni sulla commodities, le materie prime, alimentari che avevano fatto da locomotore per l’aumento generalizzato dell’inflazione in buona parte del continente africano; la disoccupazione al 12,5%; il 40% della popolazione che vive appena sotto o sopra del limite di povertà; la svalutazione del 14% della moneta nazionale nei confronti del dollaro statunitense; in questo contesto è aumentato ulteriormente il divario tra classi sociali, che aveva già portato a grosse manifestazioni contro le trattative, bloccate da qualche mese, in corso tra Fondo Monetario Internazionale e governo Morsi a proposito della ristrutturazione necessaria per ottenere prestiti e che avrebbe massacrato le già precarie condizioni di sopravvivenza delle classi popolari E non dimentichiamo che in queste classi la Fratellanza aveva (e ha) una parte consistente della base, grazie alla creazione, negli ultimi decenni di welfare parallelo a quello statale. A questo va aggiunto il fatto che per quanto moderato Morsi rimane pur sempre un islamista e in tanti nel suo partito vorrebbero volentieri imporre la Sharia come fonte principale del diritto, in un paese dove si è sempre sentita la forte influenza del clero islamico e in cui è presente una delle culle del pensiero teologico sunnita (con i suoi annessi addentellati nell’economia), l’università islamica del Cairo. Inoltre Morsi ha tentato più volte di avocare a se’ poteri piuttosto ampli, giustificando l’ampliamento delle sue prerogative con la necessità di tenere a bada un apparato amministrativo e giudiziario ancora vicino all’ex despota Mubarak. Il mix tra una crisi economica di cui non si intravede facile soluzione, dato il legame del paese con l’economia europea a sua volte in forte crisi, instabilità istituzionale e attacchi alle “libertà civili” è stato l’innesco per l’insurrezione delle scorse settimane.
In un tale quadro di instabilità l’intervento dell’esercito è stata la logica conseguenza. Come in molti altri paese della regione l’esercito gioca un ruolo importantissimo, nonostante il turn over a furia di pensionamenti forzati tra gli alti ufficiali imposto da Morsi. L’esercito egiziano ha pertanto destituito Morsi, ma non l’ha arrestato come si pensava nelle prime ore, e ha nominato il presidente della corte costituzionale Capo dello Stato ad interim. Un procedimento simile a quello adottato con la caduta di Mubarak.
E analizzando il ruolo delle forze armate emergono altri importanti attori: gli Stati Uniti d’America e lo stato di Israele. Con gli USA esistono accordi per miliardi di dollari di aiuti militari all’esercito egiziano e con Israele esistono, fin dalla fine degli anni settanta, decenti relazioni da un punto di vista diplomatico e militare. Questo aggiunge complessità al quadro.
Da un punto di vista della politica estera vi è una sostanziale continuità tra Mubarak, Morsi e l’esercito. La Fratellanza Musulmana di Morsi è risultata piuttosto simpatica agli USA e non ha avuto particolari problemi a creare buone relazioni con il governo israeliano. L’Egitto rientra a pieno titolo, con la buona compagnia dell’Arabia Saudita e degli stati del Golfo, nel blocco dei paesi musulmani filo statunitensi e che si contrappongono al blocco dei paesi a maggioranza islamica vicini al blocco Sino-Russo come la Siria e l’Iran. Poco hanno da blaterare i nostrani imbecilli che vedono l’ennesimo complotto giudaico-americano ai danni dei musulmani nella caduta di Morsi. Gli statunitensi hanno appoggiato la Fratellanza Musulmana fintanto che questa è stata in grado di assicurare un “buon governo”, nell’ottica di Washington e Tel Aviv. Dal momento che il governo egiziano si è trovato ad essere squalificato e rischiava di trasformarsi, con la sua permanenza a fronte della rabbia popolare, in un fattore di instabilità dell’area è stato dato l’avvallo al golpe militare. Poco dopo alcuni alti esponenti statunitensi stessi hanno dichiarato pubblicamente che potrebbero rivedere il finanziamento all’esercito del Cairo. Ma non ci si deve trarre in inganno dato che probabilmente si tratta di un segnale molto semplice: gli Stati Uniti e il loro alleato israeliano vorrebbero vedere ripristinata una situazione di stabilità, quindi sarebbe meglio che i militari non si abituassero a detenere in modo smaccato il potere politico ma garantiscano un ritorno alla normalità “democratica” con nuove elezioni. Contemporaneamente l’esercito ha fatto saltare un paio di tunnel nella zona di confine, che rifornivano la Striscia di Gaza. Tanto per dare un segnale di amicizia ad Israele, sulla pelle della popolazione palestinese.
Altro paese che gioca un importante ruolo in Egitto (e in generale in Nord Africa) è l’Italia: anche se negli ultimi anni vi è stato un calo degli investimenti rimane il secondo partner commerciale egiziano nell’import/export di prodotti energetici e una delle più importanti banche italiane, l’Intesa San Paolo, sta penetrando nel sistema bancario egiziano. Non è un caso, infatti, che la Fratellanza Musulmana abbia stretto dei buoni legami con il Partito Democratico, e conseguentemente con il mondo “cooperativo” particolarmente attivo nel settore costruttivo, e con le altre principali forze politiche italiane, anche grazie alle sue ramificazioni presenti in Italia tra la piccola borghesia di origine immigrata e i suoi figli nati in Italia, come i Giovani Musulmani Italiani, strettamente legati al clero egiziano da un lato e alla galassia piddina dall’altro.
Una situazione, comunque, ancora molto fluida e aperta, e che dimostra che le così dette Primavere Arabe sono state l’avvio di un processo che ha portato le masse popolari arabe a tentare di prendere un ruolo da protagoniste nella determinazione dei processi politici. Senza le mobilitazioni di massa non sarebbe stata possibile la caduta di Mubarak e di Morsi, e il segnale che queste mobilitazioni ci mandano è che la popolazione non vuole più subire spontaneamente questo o quel dominio. Non è aria di rivoluzione, certamente, ma è segnale di un cambiamento che potrebbe anche avere sbocchi rivoluzionari, a lungo termine.
lorcon
Note: i dati economici sull’Egitto sono ottenuti principalmente da: http://tinyurl.com/n93ml8q e http://tinyurl.com/lpj54pd. Sui rapporti tra Fratellanza Musulmana, Hamas, Israele e USA si veda anche l’articoli “Novembre Nero”, apparso sul numero 37 dell’anno 92 di Uenne: http://tinyurl.com/kzsdapu