Il caso Battisti – Le maschere dello stato

Articolo pubblicato su Umanità Nova numero 2 anno 99

Domenica 13 gennaio, la lunga vendetta dello stato italiano nei confronti di un uomo in esilio ha potuto avere la sua spettacolare svolta. Uno dei tanti militanti dell’area del lottarmatismo diffuso, trasformato dai media italiani, su gentile imboccata della magistratura, in nemico pubblico numero uno, a cui sono stati appioppati diversi ergastoli, in parte per psicoreati quali il “concorso morale”, con dei processi farsa basati su dichiarazioni di un pentito, è stato prelevato in Bolivia e, in sprezzo alle stesse leggi del paese latinoamericano e di un po’ di convenzioni internazionali, trasportato in Italia, mostrato come un trofeo e poi sepolto in isolamento diurno nel carcere di Oristano, tanto per rendere difficili i contatti con legali e familiari. Detto per inciso: alla faccia di quelli che si illudono sui “paesi socialisti”.

La vicenda di Cesare Battisti solleva diverse questioni. Intanto vi è l’osceno spettacolo a uso e consumo dei media e della propaganda del governo offerto dai due ministri, interni e giustizia, che si recano ad accogliere il prigioniero, con tanto di sfoggio di giacche e mostrine. Il ministro meno dotato dei due per non passare in secondo piano rispetto al collega degli interni promuove pure un orripilante video, con il gentile contributo dei secondini. Fatti che causano una discreta irritazione non solo in tutti coloro che sono dotati di un minimo di decenza ma addirittura nei ranghi della magistratura.

Ai magistrati e ai professionisti del sistema giudiziario andrebbe chiesto se forse non sono stati proprio loro a promuovere per primi la spettacolarizzazione dei processi. Dalle dichiarazioni mezzo stampa di un Calogero all’epoca del processo Sette Aprile fino a Tangentopoli, passando per la vicenda Tortora, e poi avanti per decine di processi anche per reati comuni, la magistratura italiana si è distinta per l’avere usato l’esposizione mediatica degli indagati e degli imputati come mezzo di pressione verso questi e di auto-promozione per le carriere individuali dei magistrati inquirenti.

Forse le critiche della magistratura e simili verso il ministro della Giustizia sono più dovute al fatto che con la sua cafonaggine ha rubato la scena alla Procura Generale di Milano che ad altro.

Noi siamo dell’idea che se anche la vicenda si fosse svolta nel massimo riserbo e nel rispetto assoluto delle procedure non cambierebbe molto del nucleo di tutta la questione: il sistema di leggi emergenziali volute negli anni settanta, la torsione dello stesso diritto liberale – di cui di certo non siamo fan – in diritto penale del nemico, il ricorso sistematico alla tortura contro gli indiziati, la pentitocrazia, nata dall’incontro tra l’alienazione dei gruppi lottarmatisti e la volontà inquisitoria dei pool antiterrorismo dei Caselli e dei Dalla Chiesa, continuano a seppellire persone nei circuiti dei carceri speciali.

Uno dei grandi non detti di questa squallida vicenda è che lo stato è parte in causa. La strategia della tensione, le bombe nelle piazze, gli omicidi di decine di manifestanti, sono stati voluti e attuati da componenti dello stato italiano, a volte in modo diretto e a volte tramite gli utili servi del terrorismo neofascista, poi prontamente liquidati quando ascesi a un potere troppo elevato tentavano di acquisire un’autonomia decisionale e quando era l’ora per lo stato di reinventarsi antifascista. Lo stato può permettersi di giudicare come terrorista qualcuno solo perché ha vinto quella guerra contro i movimenti sociali e contro il movimento rivoluzionario negli settanta. Questa è una banalità che va tenuta sempre a mente: non esiste nessuna superiorità morale da parte dello stato, checché ne dicano gli intellettuali democratici.

La stessa memoria di quegli anni è stata appiattita dalla costruzione di un discorso pubblico che elide sia i movimenti sociali di massa, e in questo lo stesso lottarmatismo ebbe pesanti responsabilità, per parlare esclusivamente di “anni di piombo” come prodotto dello scontro tra gli opposti estremismi e le istituzioni democratiche, sia tutte le torsioni dello stesso diritto liberale di cui abbiamo detto prima, come le responsabilità nelle stragi degli apparati statali, ovvero di coloro che governano per conto della classe dominante. I giornali pubblicano interviste ai “parenti delle vittime” del “terrorismo rosso”, mentre fingono di ignorare le carte processuali e le testimonianze che mostrano come molti di quei processi che hanno portato alla presunta individuazione di colpevoli si reggono su procedimenti quasi esclusivamente indiziari “convalidati” da pentiti che ambivano a sconti di pena o che erano stati spronati a pentirsi dagli “interrogatori potenziati” in cui si stavano specializzando le varie squadre dell’antiterrorismo.

Le formazioni armate di quegli anni, sia quelle di rigorosa impostazione stalino-maoista che quelle più “movimentiste”, sono fallimentari esempi di impostazione militarista, viziate a monte da visioni in alcuni casi assolutamente controrivoluzionarie e opportuniste, finite come logica vuole in una spirale di omicidi politici, illudendosi che il cuore dello stato sia rappresentato dalla vita biologica dei suoi funzionari, e poi di epurazioni interne mediante omicidi in carcere, “processi proletari” a là Vyšinskij, scissioni e alleanze con la borghesia criminale della Nuova Camorra Organizzata, e in altri casi di un’ingenuità disarmante proprie del lottarmatismo diffuso e spontaneista. Pur tenendo ferma la barra della critica, che la nostra organizzazione e il nostro movimento espressero in modo chiaro fin dagli albori di quelle vicende, non possiamo non essere solidali con chi si trova vittima di una vicenda giudiziaria oscena, se non di una vera e propria montatura.

Che lo stato indossi la maschera del freddo ma corretto esecutore di sentenze passate in giudicato o che i suoi rappresentati si abbandonino a cafonate indossando una maschera sguaiata, con il ghigno di chi irride il nemico sconfitto, poco incide sul giudizio che va dato a questa vicenda.

lorcon

Informazioni su lorcon

Mediattivista, laureato in storia contemporanea con attitudine geek, nasce nel sabaudo capoluogo (cosa che rivendica spesso e volentieri) e vive tra Torino e la bassa emiliana. Spesso si diletta con la macchina fotografica, lavora come tecnico IT, scrive sul suo blog e su Umanità Nova.
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