Articolo originariamente pubblicato su Umanità Nova numero 35 anno 98
Un otto dicembre con l’aria pulita a Torino. Il föhn, il vento caldo che dalla Val di Susa si incunea sul corridoio di Corso Francia e da lì dilaga per tutta la città, ha spazzato la cappa di smog che assediava da giorni il capoluogo piemontese. Un vento che ha portato sessantamila valligiani e torinesi in piazza per affermare che la lotta contro la linea ferroviaria TAV/TAC Torino – Lione va avanti, nonostante la manifestazione del 10 novembre a favore della realizzazione dell’opera che secondo alcuni fini giornalisti avrebbe segnato una “rivoluzione civile” che sposterebbe l’equilibrio di forza a favore della costruzione della linea.
Il concentramento di Piazza Statuto straripa verso piazza XVIII Dicembre, fin quasi alla stazione di Porta Susa, quando la testa del corteo e un buona parte di questo sono giunti al termine del percorso in Piazza Castello la coda del corteo si trova ancora davanti a Porta Susa. Via Cernaia e via Pietro Micca sono invase da una fiumana di manifestanti. Pochi da fuori, moltissimi da Torino e dall’hinterland e dalla stessa Valle. Una consistente delegazione dall’Alessandrino dei comitati no Terzo Valico.
Cartelli, striscioni e slogan denunciano la decimazione dei servizi pubblici essenziali, sanità e trasporti locali, mentre le risorse economiche vengono dirottate verso infrastrutture mastodontiche e inutili come la nuova linea Torino-Lione. È la logica delle grandi opere: drenaggio delle casse pubbliche a favore delle tasche del padronato, cantieri pluridecennali in grado di garantire un costante flusso a favore di questo, costi pubblici e profitti privati. Nel frattempo chi è pendolare passa ore al giorno su infrastrutture decadenti, e tragicamente pericolose in certi casi, e il traffico veicolare aumenta, insieme all’inquinamento dell’aria.
Molto diffuso anche il tema antirazzista e contro le frontiere: mentre i padroni cianciano del TAV necessario “all’integrazione europea” chi tenta di passare la frontiera rischia di morire congelato nei valichi a causa della militarizzazione o finisce in veri e propri lager, depositi di umanità in eccedenza rispetto alle esigenze del capitale, come quello di Settimo Torinese.
Una piazza con alcune, anche vistose, contraddizioni come il volere riconoscere, da parte di alcuni, come interlocutore attendibile, seppure aspramente criticato, il Movimento Cinque Stelle che ha già dato ampiamente prova di sè con la costruzione del governo dei bottegai e dei latifondisti con la Lega Nord e il voltafaccia su TAP e ILVA. Il vicesindaco pentastellato di Torino viene giustamente contestato da un gruppo di compagni e lo spezzone organizzato dai compagni della Federazione Anarchica Torinese ribadisce, con slogan, interventi e con gli stessi striscioni, che l’opposizione non è solo al TAV ma a tutto il suo mondo: il mondo delle frontiere e dei porti chiusi, dei morti di lavoro, della devastazione ambientale, dello sfruttamento. L’opposizione all’attuale governo è trasversale a molti spezzoni del corteo, è ribadita da una miriade di striscioni, cartelli, volantini, slogan. Chi pensava di poter sfruttare in chiave filo-grillina, sia nella dialettica interna al governo che nel perenne scontro con il PD, sicuramente non ha avuto gioco favorevole. Il movimento ha dimostrato, ancora una volta, di sapere camminare su gambe proprie.
Lo spezzone, molto visibile, organizzato dai compagni della FAT è stato partecipato da centocinquanta compagni e compagne e ha saputo ribadire costantemente l’autonomia dalla politica politicante, dagli sbandamenti elettoralistici e filoistituzionali. Molti interventi fatti dallo spezzone hanno ricordato la lotta antirazzista, i ministri pentastellati sono stati additati come volenterosi complici di Salvini, ampio spazio è stato dato al tema della continua strage di lavoratori e lavoratrici.
I giornali del fronte Si Tav sono in palese difficoltà. Avevano lanciato la prova dei numeri e l’han palesemente persa. Alla piazza chiamata dall’alto, da confindustriali ed edili e dal loro partiti di rifermento in affanno, una piazza corporativa partecipata da quella borghesia medio alta che naviga a vista e che si rifugia nella mitica età dell’oro, da Cavour agli Agnelli, che ha seminato i semi della sua stessa crisi, ha risposto una piazza convocata dal movimento No TAV e partecipata dai comitati dei paesi della Valle, dalle organizzazioni di classe, dai sindacati di base, da chi lotta tutti i giorni per un mondo senza frontiere, senza servi e senza padroni. La stessa Repubblica è costretta ad ammettere, nell’edizione del nove dicembre, che la piazza No Tav era più numerosa rispetto a quella del dieci novembre. La Stampa, fedele al suo storico soprannome di busiarda, prima da dei numeri vicini alla realtà e poi fa marcia indietro dando una cifra ancora inferiore alla stima al ribasso della stessa questura. Per poi contraddirsi dichiarando che tanto le due piazze non sono paragonabili, in un capolavoro sofistico di non sense logico presentato come un concetto sensato.
Una piazza composita, con contraddizioni di cui già abbiamo detto, ma dinamica, capace di proiettarsi verso un qualcosa di altro e di radicalmente diverso rispetto al mondo che i signori del TAV vorrebbero plasmare a loro uso e consumo.
lorcon