Articolo pubblicato su Umanità Nova numero 14 anno 98
Ciclicamente i media italiani ci propinano “l’emergenza bullismo”. Accadeva già una decina di anni fa, dopo alcuni brutti fatti di cronaca, è accaduto di nuovo pochi anni fa, e l’emergenza torna in grande stile adesso. Ovviamente ci si dimentica di citare i dati per impostare uno straccio di analisi materiale del fenomeno che vado oltre al sensazionalismo da titolo strillato. Ma nei tempi dell’emergenza continua, con il suo corollario di peste emozionale, questi non sono necessari, anzi.
In ogni caso, dopo il video dei ragazzini di Lucca che aggredivano verbalmente un professore si è nuovamente scatenata l’indignazione. Abbiamo potuto vedere il giornale dell’opinione pubblica progressista italiana, La Repubblica, pubblicare l’ottusa riflessione del più sopravvalutato opinionista italico, Serra, in cui si sosteneva che questi odiosi episodi avvengono negli istituti frequentati dai figli delle classi popolari mentre i templi della cultura, i licei, ne sarebbero praticamente immuni.
Effettivamente è difficile vedere un gruppetto di studenti di un qualche classico scagliarsi contro un professore. Molto più facile, però, vederlo scagliarsi, in forme aperte o subdole, verso un proprio pari che in qualche modo non corrisponde ai canoni imperanti in quell’ambiente: figli e figlie di operai che osano invadere una scuola appannaggio di classi alte e mezzeclassi, individui LGBT, disabili, devianti vari. Magari non lo farà apertamente in classe ma lo farà nei corridoi, nei bagni, fuori da scuola. Magari non alzerà manco una mano ma userà mesi e mesi di logorante violenza psicologica.
Negli stessi licei si potranno anche osservare professori che sembrano usciti dritti da The Wall accanirsi su studenti, inculcare modelli competitivi, fare favoritismi, coprire condotte inaccettabili – insomma si vorrà mica rovinare la reputazione dell’Avvocato Tal dei Tali perché il figlio è uno stronzo che molesta le compagne di classe.
Evidentemente, Serra non ha mai avuto il piacere di avere a che fare con i figliocci della buona borghesia, provinciale o urbana che sia, che riproducono in tutto e per tutto i valori della loro classe sociale di appartenenza.
Non che le classi popolari siano escluse da certi comportamenti, anzi, – nessuna operaiolatria – ma sostenere che certi comportamenti siano appannaggio di chi è figlio del proletariato è una violenta forma di classismo. L’ideologia dominante ha la capacità di penetrare anche tra coloro che non fanno parte della classe dominante: è l’egemonia. In una società fondata strutturalmente sulla violenza anche nelle scuole si riprodurranno modelli violenti, sessisti, razzisti e classisti.
Sembra che da qualche anno uno degli sport favoriti di una certa schiuma di intellettuali sia diventato il tiro al piccione con degli astrattissimi “giovani” a fare la parte dei volatili.
Non è un caso quindi che questo fuoco di fila si infittisca quando si ha la possibilità di sparare contro coloro i quali sono pure figli dei ceti popolari, e che questi fungano da capro espiatorio.
A guardare i pochi dati disponibili su un fenomeno che è difficile studiare in termini statistici sembrerebbe, comunque, che gli atti di bullismo siano generalmente in calo e che la rinnovata attenzione verso gli stessi altro non sia che il frutto di meccanismi mediatici. Ma anche ammettendo che questo fenomeno sia in qualche modo in aumento, di cosa stupirsi?
In un periodo in cui è completamente saltato il vecchio patto sociale, e l’accesso al mondo del lavoro è quello che è, in cui il modo del lavoro fa più schifo di quanto già non facesse prima, in cui le scuole sono oramai depositi per futura merce-lavoro in surplus, ci dovremmo stupire che al suo interno avvengano fenomeni di violenza?
Nei momenti di forte mobilitazione sociale gli individui accomunati dagli stessi interessi di classe, o dalla condizione di marginalizzati, si riconosco tra di loro. Non è un caso che le mobilitazioni studentesche degli anni ‘60 e ‘70 ridimensionarono e infine misero fine a quei fenomeni di violenza ritualizzata – quella dei goliardi universitari e dei loro imitatori nei licei più esclusivi – che venne travolta dall’apertura delle istituzioni accademiche alle classi subalterne.
Quindi, anche ammettendo che esista un crescente fenomeno di bullismo – cosa ad ora indimostrata, anzi i dati ci fanno presupporre il contrario – non saranno le invettive moraliste sulla carta stampata o l’indignazione da bar 2.0 del “popolo del web” a porre fine a questo fenomeno: sarà la mobilitazione di chi la scuola la vive, anche suo malgrado, tutti i giorni.