Pubblico di seguito un contributo del compagno Aa. Rigorosamente anonimo, così come (quasi) rigorosamente anonimo è chi gestisce questo blog.
L’uso mediatico dei suicidi per propagandare la censura
Gli avvoltoi e internet
- “Voi vi buttate sul disastro umano
- col gusto della lacrima in primo piano.”
- G. Gaber “Io, se fossi Dio”
Grande scalpore ha destato la vicenda della ragazzina di Cittadella suicidatasi. Scalpore non per il suicidio in se’, che è tra le prime cause di morte tra gli adolescenti, e questo dovrebbe far riflettere, ma per il presunto colpevole: internet e i social network.
Non è la prima volta che a seguito di un tragico fatto “di cronaca” si scatena una canea mediatica con orde di giornalisti e presunti “esperti” che lanciano appelli per un maggior controllo del web e contro l’anonimato. Tra i principali sostenitori della tesi che i social network possano essere causa di suicidio abbiamo diversi autori del gruppo La Repubblica – L’Espresso. Sarebbe interessante capire se dietro a questo vi è una semplice mancanza di comprensione di alcuni basilari meccanismi del web e della mente umana o una vera e propria malafede. In mancanza di dati sospendiamo la questione.
La tesi propagandata da questi “esperti” (di cosa?) sarebbe che l’anonimato on-line sarebbe pericoloso in quanto permette di lanciare accuse, insulti e quanto altro senza assumersene la responsabilità.
Peccato che costoro non riescano a comprendere che la possibilità di anonimato sia garanzia di libertà, che il potersi scegliere un’identità sia libertà. Libertà dalle censure (e dalle auto-censure), presenti anche in Italia, nonostante quello che sostengono questi figuri, per i quali l’anonimato è giusto solo in paesi dittatoriali. Libertà di scegliersi una maschera, un’identità, una controfigura in una società permeata da bigotto paternalismo.
Chi scrive non è dell’idea che il web renda automaticamente liberi, anzi è fortemente critico verso questa tesi, ma è dell’idea che un uso sociale e liberatorio delle tecnologie sia una strada da percorrere.
Tornando alla questione principale non possiamo non rilevare diversi punti critici della tesi spacciata a gran voce e con fiumi di inchiostro da De Benedetti & Co.
Intanto, si, i social network permettono l’insulto libero. Non è una novità: si basano spesso sull’azione immediata e non meditata, sull’infotaiment, sull’emotività, sulla viralità. Non è niente di nuovo e anche i media nostrani sono stati prontissimi a sfruttare questi aspetti quando faceva comodo ai loro interessi. Chi ha contribuito allo sviluppo di una cultura di questo tipo sono gli stessi che ora lanciano acuti gridi di orrore. Quindi tacciano, gli ipocriti.
Secondariamente no, i social network e le sue dinamiche non spingono al suicidio. Non esiste nessuna seria ricerca che affermi questo. E la correlazione causale riportata da la Repubblica del 12 Febbraio che riporta i casi di una decina di adolescenti suicidatisi e che avevano ricevuto insulti su Ask.Fm non ha senso. Non è assolutamente statisticamente rilevante e manco dimostra che vi sia un’effettiva correlazione.
In terzo luogo: nessuno si ammazza perchè è stato insultato da degli sconosciuti su un sito. Al massimo questa può essere una concausa. Se un ragazzino lancia richieste di aiuto su internet e su internet trova insulti la colpa è del fatto che l’ambiente che gli sta intorno, famiglia, scuola, gruppo dei pari, non è stato in grado di fornigli aiuto. Se un’adolescente si suicida lo fa perchè clinicamente depresso. E la cosa che fa veramente orrore è leggere dichiarazioni di parenti e amici che affermano “non lo sospettavamo, non potevamo immaginare”. Perchè vuol dire che vi è una totale mancanza della cultura del disagio psichico. Perchè vuol dire che non si è in grado di riconoscere i segnali di disagio negli altri. E questa non è una novità: lo stigma della “malattia mentale” continua a persistere nella nostra società. Chi dice chiaramente di avere un problema psicologico, per quanto comune come la depressione, finisce automaticamente nel ghetto dei “diversi”, degli “alienati”. Viene o iper-responsabilizzato per la sua condizione o completamente de-responsabilizzato delle sue azioni. Viene indicato come l’”incapace di intendere e di volere”. Avete mai parlato con un paziente psichiatrico istituzionalizzato? Ebbene, questo, lo stigma sociale è una delle cause di maggiore sofferenza. Spesso più delle psicosi o delle depressioni gravi. E dire che Asylum di Goffmann è stato pubblicato quasi sessanta anni fa, le opere di Foucault 40 anni fa e la legge Basaglia ha oramai 30 anni. Perle ai porci, verrebbe da dire. Dopo decenni di acuta riflessione sulla malattia mentale ci troviamo davanti a una banda di mentecatti incapaci di capire che il disagio psicologico è dovuto sopratutto a storture sociali.
Volete davvero porre un freno ai suicidi? Volete porre un freno al disagio psichico? Smettetela di massacrare con i tagli i Centri Psico-Sociali, le strutture di prossimità che dovrebbero dare l’assistenza immediata a chi si accorge di avere un problema, smettetela con l’approccio puramente farmacologico, pensate a che cosa non funziona in questo sistema di vita.
Perdersi in chiacchiere su quanto sia cattivo il web e l’anonimato è da amanti della lacrima facile e dell’emotività. Preclude il ricorso a strumenti razionali e apre le porte alle peggio censure; perchè non crediate che i disegni censori servano veramente a ridurre il numero di ragazzini che si ammazzino. Servono a colpire la dissidenza e le opinioni che non si uniscono ai cori belanti.
Piccola nota autobiografica:
Chi scrive ha iniziato navigare sul web più di dieci anni fa, quando si trovava in quell’età definita critica che è l’adolescenza. E ha sempre preferito i siti, le reti, le “community”, si direbbe ora, dove si poteva essere anonimi. Di insulti ne ha ricevuti e distribuiti molti. E no, non ha mai pensato a lanciarsi dalla finestra per questo. E questo non perchè è un ubermenshen o un duro rotto ad ogni esperienza. E manco perchè pensa che vi sia una distinzione tra reale e virtuale (anzi, è convito del contrario). Ma perchè quando aveva un problema aveva qualcuno con cui parlarne, qualcuno che l’aiutasse a razionalizzarli, qualcuno con cui confrontarsi.
Ed è questo, a sua opinione, che manca a chi si ammazza. Una società che genera suicidi è una società omicida. Il sistema in cui viviamo è il primo generatore di disagio, di alienazione, con le sue strutture sociali orripilanti, con la concezione dell’uomo come homo-economicus.
Politici, giornalistoidi, opinionisti tuttologi che chiedete censura: se volete cercare una causa per questi drammi guardatevi intorno. E guardatevi allo specchio.
Aa